Attualità

IL GRANDE FREDDO. Tra i volontari: notti glaciali con gli "ultimi"

lunedì 6 febbraio 2012
È notte. E il popolo degli invisibili si svela. Agli angoli di eleganti strade del centro città, così come sui marciapiedi di periferia. Alloggiati nelle adiacenze di negozi di richiamo, o nei cortili di condomini popolari. Quella dei senza tetto è un’emergenza straordinaria in giorni in cui le temperature, in gran parte del Paese, precipitano e, di notte, raggiungono anche i 15 gradi sotto lo zero. Un mare di problemi pesa sulle loro esistenze. Da quelli di natura giudiziaria alle tante dipendenze da droghe o alcol; in tanti, tantissimi accusano disagi nati in famiglia. Altri, invece, hanno cambiato vita dopo aver perso il lavoro, o dopo una gestione sbagliata di un’impresa o di una bottega artigianale. Tanto basta per passare una vita a bivaccare e a non tornare indietro.Succede a Milano, come a Napoli, a Roma come a Torino. A soccorrerli c’è un altro popolo di invisibili. Donne e uomini che non lesinano tempo, energie e sacrifici per ridare dignità a chi crede di non averne più. Una sorta di rete della solidarietà che, attraverso ronde di strada, prestano aiuti alimentari, sanitari e logistici ai clochard. In questa pagina raccontiamo tre spaccati di sofferenza ma anche storie di impegno raccolte nelle strade e nelle stazioni di Milano, di Torino e di Bologna in questo rigidissimo inverno. (V. Sal.)DA MILANO: LA NOTTE IN CENTRALE CON LE TROFIE AL PESTOIl passo nella neve che si va ghiacciando è più pesante e incerto. Specie se ai piedi hai scarpe da ginnastica. Soprattutto se devi fronteggiare un vento che, all’una della notte, quando la temperatura raggiunge i -7, fa ancora più male. «Ma dove sarà questo posto in cui ti danno da mangiare e ti trovano da dormire?». La Stazione Centrale di Milano è grande. La valigia di Franco, che racconta miseria, sembra un macigno, con quella gamba ridotta male.Fortuna che tra le tante luci della Centrale ce ne sono alcune intermittenti. Ma sì, sono lampeggianti, lì, a pochi metri dal McDonald’s. Appartengono alle unità mobili della Croce rossa italiana (Cri). Ma bisogna arrivarci a quei lampeggianti. Ancora 100 metri. Alla fine, ecco Carlotta - 23 anni, studentessa in medicina, è nei “pionieri” della Cri - che si fa avanti con un sorriso che invita a parlare. Ora l’uomo che ha di fronte si può presentare. «Mi chiamo Franco, ho 61 anni, sono di Bari, ma sto arrivando dalla Danimarca, dove ho lasciato moglie e figli. Aiutatemi, ho fame. E se non lo fate voi, io mi fermo qui, dormo qui, in mezzo alla neve, perché non ce la faccio più, sono sfinito e vada come vada».È un attimo. E le mani di Carlotta, la volontaria con la pettorina fluorescente, già stringono quelle gelate dello smarrito interlocutore. Passano 15 minuti e Franco è seduto, al caldo, nell’atrio del Centro sociale residenziale di via Sammartini, poco distante dalla grande stazione, aperto da poche ore per far fronte alle tante richieste di soccorso. Trofie al pesto. È il piatto caldo della giornata che Franco consuma a pochi metri dal suo nuovo posto letto. «Un po’ mi vergogno – dice a chi lo accoglie –, ma poi penso: non sarò mica il solo ad aver fallito e a trovarmi in questa condizione. Magari come me, di persone che hanno chiesto aiuto, in questa notte ce ne saranno altre 10, o altre 50. Sbaglio?». Né 10, né 50. Ma 1.700. Già, un esercito: 1.700 persone, in questo venerdì notte, hanno trovato accoglienza in strutture pubbliche e private che rispondono bene all’emergenza. Un altro esercito dorme per strada: dalle periferie a quelle del centro. «È difficile convincere tutti a seguirci in ripari e in strutture adeguate – dice Alberto Bruno, commissario provinciale della Cri di Milano –. Spesso non si fidano di condividere ambienti con sconosciuti, altre volte non vogliono lasciare vie o piazze dove hanno stretto rapporti di amicizia con cittadini solidali».Ma se c’è un popolo di senza tetto, c’è un fiume di solidarietà pronto a soccorrerlo. La Croce rossa, grazie ai comitati di Milano, Bresso, Opera e Sesto San Giovanni - i cui volontari battono le strade della metropoli visitando e donando generi alimentari e abbigliamento -, schiera tre unità di strada in più rispetto all’"ordinario". E poi, solo per citarne alcuni, ecco mezzi e uomini di “Medici volontari italiani”, di “Fratelli di San Francesco d’Assisi”, di Fondazione Progetto Arca di “Linea gialla” e “Clochard alla riscossa” (questi ultimi impegnati nello spazio del mezzanino del metrò della "centrale"); ci sono la Caritas e la Protezione civile e gli uomini della polizia locale (giovedì il comandante Tullio Mastrangelo ha disposto che nell’area della "centrale" operino 12 uomini fino alle 3 di notte, tutti i giorni); ancora, gli operatori dell’assessorato alla Sicurezza e coesione sociale e quello delle Politiche sociali. Facile aiutarli: basta formulare lo 02.88465001 per segnalare la presenza di "clochard". E, in molti casi, donare loro una nuova speranza. «Del resto – dichiara Erica, volontaria Cri, al termine di un’altra notte passata accanto agli ultimi – dare è la cosa che regala più soddisfazione nella vita». Vito Salinaro DA BOLOGNA: LA COPERTA DI ERICA PER I POVERI DEI PORTICIIl barbone che dorme nel corridoio della stazione ferroviaria, vicino al distributore delle bibite, accenna un timido «grazie», poi la testa scompare di nuovo dentro il sacco a pelo. Erica conosce tutti i senzatetto di Bologna, o quasi. E loro conoscono lei. Carica di coperte la vedono arrivare al piazzale Est e la accerchiano. «Solo due minuti, solo due minuti»: chi vuole sapere quando avrà la visita del medico, chi non ce la fa più a dormire nella sala d’aspetto, chi è lì solo per salutare e ricevere un sorriso.In forza al "Servizio mobile di Piazza Grande", onlus che da 19 anni offre assistenza alle persone senza dimora, c’è anche Michele, spiccato accento agrigentino che contrasta con quello valdostano di Erica. Si mette attorno al collo il pesante braccio di Antò, un signore molisano che ha appena aggiunto una denuncia per ubriachezza molesta al suo lungo curriculum, e lo porta – non senza fatica – all’auto. Destinazione: uno dei centri di accoglienza del capoluogo, e niente rischi di assideramento, almeno per questa volta.«In un anno abbiamo intercettato circa 900 senzatetto, molti dei quali di passaggio – spiega Erica –. I veri e propri "clochard" sono una minoranza. Qui ci sono padri separati che hanno perso il lavoro, immigrati licenziati ingiustamente dalle aziende, costretti ad attendere mesi prima di ottenere il risarcimento». Tante le cadute nel girone dei più deboli e poche le vie d’uscita; la stessa onlus si avvale della collaborazione di alcuni senzatetto «più responsabili», per stimolare un aiuto reciproco tra poveri. Lo fa attraverso piccoli rimborsi spesa, preziose boccate d’ossigeno per chi non ha niente che però non possono rappresentare l’uscita definitiva dal tunnel della miseria. Lo slancio di generosità, comunque, non conosce crisi."L’altra" stazione, quella che i viaggiatori con gli occhi puntati sul tabellone delle partenze non riescono a vedere, è un vero gioco di squadra: i City Angels assistono i senzatetto, le parrocchie si alternano nella consegna dei pasti, e questa è la serata dei sorridenti ragazzi di Sant’Antonio Maria Pucci. L’emergenza neve ha chiamato a raccolta il mondo della solidarietà, e non è mai abbastanza: i 40 posti del dormitorio Capo di Lucca, gestito da Piazza Grande, sono sempre occupati. Chi è fuori può sperare in un "Pris" (pronto intervento per chi ha problemi sanitari): notte in un centro di accoglienza e invio ai servizi sociali. Ma non c’è posto per tutti.Gli altri bisogna andare a trovarli, uno ad uno. Mettendo in conto che la percentuale di persone con problemi psichici è elevata e qualcuno potrebbe saltarti addosso o risponderti male. Ma per chi prima ha continuato a sorridere quando ha dovuto reggere i 100 e passa chili di Antò, questo ed altro. Via Galliera, via dei Mille, via Nazario Sauro: Erica e Michele, 25 e 26 anni, sembrano aver imparato le strade di Bologna così: passando da un barbone all’altro. Il "Massi", italiano, assicura di avere già un discreto patrimonio economico, e andrà a vivere in appartamento: «Ma ho scelto di restare qui qualche altro giorno. Sono nato in montagna e al freddo sono abituato», afferma bugiardo e orgoglioso, pochi secondi prima di chiedere un bicchiere di the caldo. Erica sorride e gli offre anche una coperta. Non basta a cambiare la vita, forse. Ma sa rendere più soffice un letto di cartone. Lorenzo GallianiDA TORINO: IL RIFUGIO DEI DISPERATI NEL QUARTIERE BENEPersino l’aria sembra ghiacciata nella notte torinese. È l’una passata, il termometro segna meno 5 ed Ester Orsolon, cappello di lana calato sulla fronte, si sporge dal furgoncino per individuare tra la neve un giaciglio, un fagotto di coperte, un sacco a pelo. Siamo in via Bardonecchia, in mezzo ai palazzi di Pozzo Strada, un quartiere residenziale di ceto medio alla periferia della città. Irene Perrone, alla guida, rallenta, ripete il giro dell’isolato per due volte. Niente da fare: non ci sono tracce dell’uomo che dormiva per strada, la cui presenza era stata segnalata da alcuni cittadini. A metà del turno al telefono della "Boa urbana mobile", il servizio itinerante notturno del Comune di Torino, sono già arrivate decine di segnalazioni, provenienti da tutta la città. «Abbiamo appena assistito un uomo che dormiva per la strada con addosso un semplice lenzuolo, rischiando così la vita», spiega Ester, assistente sociale. Nel furgoncino da dieci posti – semplice, bianco, senza segni distintivi appariscenti – ci sono pile di coperte, thermos con il tè caldo, pacchi di biscotti stipati tra i sedili. Il mezzo viaggia fino all’alba per tutta la città, cercando i senza tetto per proporre loro una notte nei dormitori comunali, alberghi senza stelle che offrono un riparo sicuro, assistito. In alternativa, se la risposta è negativa, si fanno quattro chiacchiere, si beve insieme una tazza di tè, si lasciano in dono una coperta e un buono per la doccia: lo scopo è assicurarsi che chi vive in strada abbia tutto l’occorrente per superare bene la nottata. Il lavoro della Boa comincia alle 20, con la lettura del diario del giorno prima, su cui sono registrati gli interventi effettuati. «Chiamiamo subito tutti i dormitori per sapere quanti posti sono rimasti disponibili. Questa notte sono ancora 14, grazie al rinforzo dei posti per l’emergenza freddo», racconta Ester. Uscendo tutte le sere, tra gli operatori della Boa e i clochard si instaura un rapporto di conoscenza e fiducia. Per la nuova tappa, la Boa va a colpo sicuro: il pronto soccorso dell’ospedale Martini, riscaldato, che di notte si trasforma in un rifugio per disperati. È stato proprio Taib, un marocchino che a marzo compirà 40 anni, a far chiamare la Boa per chiedere uno "strappo" fino al dormitorio allestito nel parco della Pellerina. Addormentato su una panca, accanto a lui, c’è Romeo, avvolto dal cappotto blu scuro che indossa tutto il giorno. Ester e Irene lo svegliano e lui accetta di farsi portare al dormitorio, ma solo dopo essersi assicurato almeno una decina di volte che la notte è "in regalo", ossia che non bisogna pagare nulla. Per lui c’è posto in un altro dormitorio poco distante a quello della Pellerina, in Strada delle Ghiacciaie. «La vita ti può mettere di fronte a veri e propri drammi», racconta Taib, che si lascia andare ai ricordi. «Avevo grandi aspettative quando arrivai in Italia – spiega – ora sono stanco e ho poca speranza per il futuro». Fabrizio Assandri