Intervista. Il costituzionalista Clementi: «Premierato, riforma confusa e ambigua»
Francesco Clementi, costituzionalista
«Confusa, ambigua, rigida». Anche un costituzionalista aperto alle riforme della Carta e al rafforzamento della premiership, come Francesco Clementi, sceglie tre aggettivi decisamente netti per descrivere la bozza del governo. «Confusa perché non capiamo cosa lo si elegge a fare il premier direttamente se può essere disarcionato dalla sua maggioranza parlamentare, ambigua perché appunto blinda la maggioranza contro il suo stesso premier, rigida perché cancella quelle soluzioni emergenziali cui ricorriamo quando la casa brucia», spiega il professore di Diritto pubblico italiano e comparato della Sapienza di Roma, autore del recente volume edito da Il Mulino, “Il presidente del Consiglio. Mediatore o decisore?”.
Perché a suo avviso la riforma non funziona?
Perché maggioranza e premier vengono scelti con la stessa decisione da parte dell'elettore, ma il voto per la maggioranza, paradossalmente, pesa più del voto per il premier. A cosa serve eleggere direttamente un premier se infatti la maggioranza lo può disarcionare al primo stormire di fronde? Non sarebbe più coerente, e più trasparente, prevedere la sfiducia costruttiva? Così lo si elegge direttamente come nei sistemi presidenzialistici ma poi lo si rende meno forte di un qualsiasi presidente del Consiglio di stampo parlamentare. Una bella incoerenza che ci presenta un paradosso: la maggioranza parlamentare è più blindata dal premier che la traina alla vittoria. Tanto sorprendente, quanto surreale.
Lungo la legislatura pezzi di maggioranza non potrebbero valutare nuove soluzioni politiche?
Sì, sarebbe possibile. Ma il problema ulteriore è che questa costruzione impedisce di adottare quelle soluzioni emergenziali cui abbiamo potuto ricorrere con lo spread a 500, o con il Covid, rendendo impossibile creare situazioni di governo che, sia pure per un tempo limitato, gestiscano in modo condiviso le emergenze del Paese. Eppure è stata la nostra salvezza in tante situazioni recenti.
Quindi non è vero che il ruolo del capo dello Stato resta intatto?
No, non lo è. Il capo dello Stato esce fortemente indebolito. Non potrebbe neanche intervenire per salvare il Paese quando il sistema politico-partitico va in crisi oppure quando gli eventi esterni rendono impossibile alle maggioranze politiche governare i processi. Insomma questa proposta spegne il “motore di riserva” del Paese: quello che tanti Paesi ci invidiano perché dentro quella flessibilità c’è stata più volte la salvezza repubblicana, merito di un “prestigio”, interno ed internazionale, da arbitro di ultima istanza.
Ci spieghi questa cosa del premier eletto ma debole... È ostaggio dei partiti della sua maggioranza. Si faranno campagne elettorali presidenzia-listiche, di stampo populista, da tifosi, e poi si tornerà a una palude trasformistica dove le coalizioni potranno cambiare il premier eletto senza colpo ferire. A discapito di una legittimazione diretta che il premier ha, e che non è da poco.
È un testo migliorabile? Lo auspico, moltissimo. C’è bisogno della saggezza dell’intero Parlamento, opposizione compresa. Che non può stare sull’Aventino, ma deve avere il coraggio di affrontare i nodi di una forma di governo che continua ad imbarcare acqua proprio perché le degenerazioni del parlamentarismo non vengono risolte, ma vengono utilizzate a fini politici.
Quale riforma servirebbe a suo parere? Tre cose molto facili, puntuali, imitando le democrazie parlamentari a noi più simili: rafforzare il rapporto tra eletto ed elettori, indicando il premier sulla scheda elettorale; dare a questi la fiducia monocamerale, con la conseguente nomina e revoca dei ministri; prevedere una norma “codificata” per i cambiamenti di premiership, che è la sfiducia costruttiva. Infine la norma che consente al presidente del Consiglio, se una mozione di fiducia non ottiene l’approvazione della maggioranza, di chiedere al presidente della Repubblica lo scioglimento anticipato come prevede l’articolo 68 della Costituzione tedesca. Un potere di scioglimento che tuttavia viene meno se, appunto, il Parlamento elegge un altro premier. Questi semplici strumenti basterebbero per rendere il sistema migliore, più stabile e più efficace, senza inquinare il nostro parlamentarismo con un’inutile, oltre che impotente, presidenzialismo.