Lo scontro. Toghe-governo, tensione alle stelle
La premier Meloni e il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Santalucia
Poche righe. Durissime. Nettissime. Quando mancano pochi minuti alle 11 le agenzie battono i primi due flash dal direttivo dell'Anm, l'associazione nazionale magistrati. È un atto d'accusa contro il governo. Contro «accuse pesantissime che colpiscono al cuore la magistratura». Contro il Guardasigilli Nordio e le note del ministero della Giustizia che hanno dato forza alle «voci di delegittimazione» contro la magistratura. È uno scontro durissimo. Meloni sente i suoi collaboratori più ascoltati. Parla con Alfredo Mantovano. Sente il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Tutti sentono tutti. Ma la linea è quella che il premier ripete da ore in tutte le conversazioni più private: «C'è chi vuole fermare le riforme e rendere complicato il cammino del governo. Ma nessuno può intimirci. Cambieremo la Giustizia, faremo le riforme, chiuderemo la legislatura. Il Paese è con noi».
È un momento terribilmente complicato e il Quirinale osserva lo scontro con crescente preoccupazione e, ovviamente, non rinuncia a far sapere che non è affatto contento di quello che vede. Ma i fronti aperti sono troppi. C'è il fronte Santanchè. C'è il fronte Delmastro. Ora c'è anche il fronte La Russa. A palazzo Chigi si pesa ogni frase. Ogni parola. Si cerca di capire. Si studia una strategia per rispondere. Ma oggi sono le toghe a prendersi la scena. Il presidente dell'Anm Giusppe Santalucia, parla al Comitato direttivo dell'Anm e mette subito le cose in chiaro. «La magistratura non ha alcuna voglia di alimentare lo scontro, ma quando il livello dello scontro si alza, il nostro silenzio sarebbe l'impacciato mutismo di chi non sa reagire con fermezza a una politica muscolare rivolta a un'istituzione di garanzia...». Poi la frase che fa titolo: «...Sarebbe un arretramento e noi non arretriamo quando si tratta di difendere i valori della Costituzione».
A Palazzo Chigi ci sono due parole che non passano inosservate: non arretriamo. L'impressione è che il clima si alzerà ancora. Meloni-Nordio non hanno nessuna intenzione di fermarsi. Vogliono cambiare la Giustizia, vogliono fare le riforme. Vogliono dire basta a «ripetute fughe di notizie». Vogliono «correggere le troppe anomalie» che minano la totale credibilità della Giustizia. E di fronte alla sfida dell'Anm sembrano decisi a spingere ancora con più decisione sull'acceleratore: abbiamo superato ogni limite, ora il governo non perderà più nemmeno un minuto sulla Riforma. È un altolà sempre più netto. Meloni e Nordio sono decisi a dire ai magistrati di «non pensare di fare politica». E ad avvertirli che «l'esecutivo non si farà intimidire e che c'è una Italia che vuole le Riforme». È la linea di tutto il governo. Senza nessuna distinzione. C'è tutta la maggioranza e ci sono tutti i ministri. «Ci risiamo, ormai è ufficiale: il governo Meloni è nel mirino di un pezzo di magistratura, che evidentemente vuole dare una mano all'opposizione», sbotta Matilde Siracusano, sottosegretario FI ai Rapporti con il Parlamento. L'Anm non ci sta. «Stiamo occupando le cronache senza volerlo. Si parla di scontro tra politica e magistratura, è uno scontro non voluto che stiamo subendo» e che «si è innalzato senza che noi si sia fatto nulla», ripete ancora Santalucia. Nordio però è deciso ad andare dritto. La riforma che Nordio predica è davvero radicale: separazione delle carriere, discrezionalità dell’azione penale, riscrittura daccapo del codice penale e del codice di procedura penale. Mattei Renzi osserva interessato. Ma dall'Anm arriva l'ultimo chiarimento: le riforme vengono sbandierate non perchè migliorano il sistema ma come una misura di punizione.