«Non faccia il birichino...». Berlusconi, con ampio sorriso, blocca il cronista che prova ad infilare la domanda su Ruby in una conferenza stampa dedicata tutta all’economia. «Della giustizia non parlo per amor di patria», dice con il volto più disteso che può. Al suo fianco ha Tremonti che lo aiuta a non deviare sulle sue vicende giudiziarie, e la cui presenza deve certificare che tra palazzo Chigi e Tesoro c’è piena sintonia (come ribadiranno tempestive le note inviate dai colonnelli alle agenzie). «Vi dico una sola cosa – concede però il premier quando a incalzarlo sono anche altri giornalisti –, io non sono per niente preoccupato». Parole scandite, accompagnate da un altro sorriso. E da un’idea fissa: «Andrò avanti fino al 2013». La sicurezza gli viene da quello che confida ai suoi a palazzo Grazioli: «Sono 17 anni che vivo con i processi, ne riparliamo quando arriviamo in terzo grado...». A dire che venderà cara la pelle. Ma come andare avanti? A partire dal patto di ferro con la Lega. «Siamo più coesi che mai, ieri Bossi, Calderoli e i capigruppo hanno passato la sera con me, mi hanno espresso la loro vicinanza e la voglia di continuare. Abbiamo visto i programmi futuri». E Reguzzoni, quasi a confermare, dirà in giornata che i padani alla Camera saranno «in assoluta sintonia » con le iniziative che il Pdl prenderà per tutelare il premier, sino al conflitto di attribuzione dinanzi alla Consulta. Il senatur, però, è più sibillino: «Se il governo ha i numeri va avanti, se non ci fossero cadrebbe da solo». Il sostegno, cioè, è condizionato all’allargamento. E Berlusconi, allora, lo rassicura: «Nei prossimi giorni la maggioranza alla Camera arriverà a quota 325» (il serbatoio al quale si attingerebbe è sempre lo stesso: libdem, Mpa, finiani delusi). Ma il premier è convinto che si possa andare avanti anche per un dato politico: senza i «freni» attivati dagli «statalisti finiani», è più facile - dice - fare riforma fiscale, liberalizzazioni, modificare giustizia civile e penale. Date queste premesse, è normale che quando gli viene paventata l’ipotesi del voto anticipato risponde bonario: «Ma no, altrimenti non saremmo qui a parlare di economia». L’unico riferimento alla giustizia è 'tecnico', ovvero ai «tempi inverosimili» di quella civile. È in questo fugace accenno che il cronista si intrufola con una battuta: «Però, presidente, quella penale va veloce...». È il temuto riferimento al processo di Milano, ma il Cavaliere e Tremonti stoppano tutto sul nascere. Ci riprova un altro giornalista, chiedendo se il caso-Ruby possa interferire sulla nomina di Draghi alla Bce. «Lei non è compus sui, vada a tradurlo». Come dirgli «lei non è padrone di sé». D’altra parte, nella 'strategia del rilancio' i «fatti» devono venire prima dei problemi processuali. Se il premier tiene la scena, i parlamentari- giuristi e il collegio difensivo non conoscono pausa.L’abbondanza di udienze dei prossimi mesi potrebbe aiutare Berlusconi: usando in modo 'scientifico' il legittimo impedimento potrebbe frenare il processo più delicato, quello su Ruby, prestandosi a quelli che sono più indietro o sul limite della prescrizione. Strategia-tampone, mentre la terapia d’urto è sempre quel conflitto di attribuzione che il gruppo Pdl a Montecitorio - con l’opposizione di Fini - potrebbe sollevare alla Consulta, sostenendo che il 'tribunale naturale' è quello dei ministri. Il presidente del Consiglio Silvio Berluscono durante la conferenza stampa di ieri, a Palazzo Chigi, dedicata tutta all’economia e durante la quale il premier non ha voluto rispondere alle domande dei cronisti sul caso Ruby «per – ha detto – amore di patria»