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L'intervista. «Non siamo nemici del governo, ma il progetto di Nordio è rischioso»

Vincenzo R. Spagnolo sabato 1 giugno 2024

Alessandra Maddalena, vicepresidente dell'Associazione nazionale magistrati e giudice di Corte d'Appello a Napoli.

Da quando il Consiglio dei ministri ha varato la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere, l’Associazione nazionale magistrati è salita sulle barricate. «Siamo pronti a una grande mobilitazione», avverte Alessandra Maddalena, giudice di Corte d’Appello a Napoli e vicepresidente dell’Anm, in rappresentanza dei moderati di Unicost.

Fino allo sciopero?

Non è escluso. Lo valuteremo nei prossimi giorni. Ma pensiamo anzitutto a una grande mobilitazione culturale, anche nell’eventualità che alla fine si vada al referendum, per aiutare i cittadini a comprendere il rischio che correremo tutti, se una tale riforma dovesse diventare legge.

Ma il governo sostiene che le modifiche non andranno a intaccare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.

Non potrebbero dire altrimenti. Secondo noi, la intaccheranno di sicuro. E per diverse ragioni.

Può dircene alcune?

Intanto, la terzietà del giudice non la si assicura separando le carriere. E, di converso, duplicare i Csm uno per magistrati requirenti, l’altro per i giudici - indebolirà l’organo di governo autonomo della magi-stratura, frazionandolo e trasformandolo in una struttura burocratica, a cui verrà sottratta ad esempio la funzione disciplinare.

L’individuazione dei membri dei due Csm per sorteggio non vi convince?

Pare anch’essa funzionale a indebolire le toghe. Nei proclami del governo, dovrebbe servire a superare le “degenerazioni” correntizie, dopo le storture messe a nudo dal caso Palamara - che, fra parentesi, è emerso grazie a indagini della magistratura -, ma immetterebbe nei due Csm una componente di togati privi di rappresentatività, perché individuati come monadi in mezzo a 10mila magistrati, a fronte di una componente laica più forte, perché il suo sorteggio “mascherato” avverrebbe su un elenco ristretto di profili.

Le vostre critiche si appuntano pure sull’Alta corte disciplinare per la magistratura ordinaria. Ritenete che ci sia una «volontà punitiva»?

Non adopero quell’espressione. Ma rilevo che altri progetti, che includevano le altre magistrature, avevano un significato diverso. Invece qui - peraltro con modalità di sorteggio fra laici e togati simili a quelle dei due Csm - si profilerebbe un ritorno al passato, scegliendo i magistrati “controllori “ della disciplina fra quelli più anziani, che hanno svolto funzioni di legittimità. Un’operazione d’antan, che riesuma concetti di alta e bassa magistratura da epoche passate, prima della Repubblica.

Come l’epoca fascista, intende dire?

Non per forza. Diciamo prima della Repubblica. Fa un certo effetto, alla vigilia del 2 giugno.

La premier Meloni assicura che non vi ritiene nemici. E voi?

Nemmeno. Non siamo nemici di questo governo, né gli facciamo guerra. Non abbiamo mai guardato da quale parte politica provenissero certe proposte di modifica, ma solo al loro contenuto. Non abbiamo nemici nel governo, ripeto. E nemmeno nell’avvocatura.

Eppure l’Unione Camere penali, con toni ruvidi, vi accusa di una «chiusura corporativa». Cosa replica?

Che è la solita accusa che ci viene rivolta, quando esprimiamo critiche fondate. Non siamo preoccupati come magistrati, ma come cittadini. E l’unitarietà delle carriere non è per noi «un dogma», come ci viene rimproverato, ma è figlia di un principio costituzionale irrinunciabile.

Per il ministro Nordio, è l’Europa a chiedere la separazione. Concorda?

Macché. Vorrei domandare al ministro dove è scritto che l’Europa chieda la separazione delle carriere. Nella dichiarazione di Bordeaux, che lui cita, ho letto tutt’altro: sancisce l’indipendenza di pm e giudici e in nessun punto sollecita carriere separate. E va inquadrata in un contesto di atti europei che valorizzano il passaggio da una funzione all’altra, laddove gli ordinamenti lo consentano, per le ricadute positive di una tale osmosi: il miglior pubblico ministero è colui che sa porsi anche nell’ottica di chi giudica, a garanzia del cittadino, da magistrato e non da mero poliziotto.

Nell’esecutivo, c’è chi annovera Giovanni Falcone fra i “padri nobili” della riforma.

Mah, lo citano a sproposito, visto che Falcone fu, con straordinarie qualità, sia magistrato requirente che giudicante.

Le accuse di “giustizia a orologeria” dopo gli arresti in campagna elettorale, poi lo strappo sulla riforma. Il solco con l’esecutivo è ormai troppo profondo? O ci sono ancora margini di confronto?

Sono decenni che il rapporto fra politica e magistratura è conflittuale, ma la giustizia ha i suoi tempi, non è mai a orologeria. Sulla riforma, al governo il confronto lo abbiamo chiesto e continuiamo a chiederlo. Ma confronto per noi non significa compromesso.