2 novembre. Non è solo il giorno dei morti e della tristezza. Come spiegarlo ai bambini
Una famiglia al cimitero
Pubblichiamo il paginone centrale che l'inserto di Avvenire dedicato ai bambini, Popotus, ha dedicato alla Commemorazione dei defunti. Può essere utilizzata per aiutarli a capire che cosa si celebra oggi e perché.
Il 2 novembre è un giorno triste, ma anche no. È la Commemorazione di tutti i defunti e la tradizione vuole che si visitino i cimiteri per pregare sulle tombe di parenti e conoscenti. Si accendono lumini, si portano fiori. Spesso il tempo autunnale ci mette la sua parte, con l’umidità delle nebbie che infreddolisce e la luce del sole che cala presto a far notte. È dunque un giorno nel quale sembra che ogni cosa induca a pensare a cose tristi. Però non è soltanto così: il ricordo delle persone morte serve anche a ripercorrere i momenti belli trascorsi con loro oppure, se non le abbiamo conosciute personalmente, ad ascoltare dai più anziani la loro storia. Per chi crede, poi, c’è la speranza di ritrovarsi un giorno. Per tutti comunque è come collegarsi a un filo invisibile e misterioso cominciato prima di noi e che ora tocca a noi reggere e continuare. I defunti hanno concluso la loro vita, è vero, ma sapevano che non tutto sarebbe finito lì. Per questo oggi non è solo una giornata triste.
Un millennio di preghiere per chi fu
Il giorno dei morti ha compiuto mille anni, anzi qualcuno in più. Difatti le storie narrano che il primo a istituirlo nell’anno 998 fu Odilone, abate (cioè capo) del monastero di Cluny: un importantissimo luogo sacro del Medioevo che si trova in Francia, vicino al confine con la Svizzera. Odilone pensò che, dopo la festa dei Santi celebrata ogni primo novembre, era giusto ricordare anche tutti gli altri morti che non erano santi e dunque avevano ancor più bisogno delle preghiere dei vivi. Così ordinò che i suoi monaci la sera precedente suonassero le campane per richiamare gli altri fedeli e poi dedicassero la giornata al ricordo dei defunti, anche quelli sconosciuti, morti in qualunque tempo e luogo. La tradizione piacque e piano piano si diffuse; qualche secolo dopo la Chiesa proclamò ufficialmente il 2 novembre ”anniversario di tutte le anime”. Oggi il nome è cambiato ma il senso è lo stesso.
Riti e pranzi al cimitero dagli Etruschi ai Romani
Tutte le culture e le civiltà, cominciando dagli uomini primitivi, hanno sempre onorato i loro morti. Degli Egizi conosciamo le maestose piramidi, che sono appunto tombe. Gli etruschi si recavano a mangiare nelle necropoli dove erano sepolti i parenti. I Greci celebravano i morti per tre giorni a febbraio offrendo loro un pasto simbolico. Nello stesso mese i Romani onoravano gli antenati addirittura per nove giorni durante le feste chiamate Parentalia. Secondo alcune tradizioni dell’Africa invece i morti in certi periodi possano tornare a infastidire i vivi, dunque devono essere allontanati con amuleti appesi in casa oppure tenuti buoni con doni e cibi preparati apposta per loro.
Dolci, ossa, fave e zuppe: le specialità della festa
Che buone le ossa dei morti! Ma cosa avete capito? Mica si tratta di scheletri, bensì di particolari e gustosi biscotti tipici di varie zone d’Italia. Il 2 novembre difatti è anche l’occasione per preparare dolci tradizionali. A Lecce, in Puglia, si distribuiscono le dolcissime fanfulicchie; nel Centro-Nord sono diffuse le fave dei morti, pasticcini creati secondo differenti ricette locali; in Romagna si cucina una piada dei morti, torta con le uvette. Tantissime pure le specialità gastronomiche, per esempio le zuppe calde che si adattano molto bene alla stagione. A Dogliani, in Piemonte, se ne prepara una di ceci con una ricetta segreta che si tramanda da secoli: si chiama cisrà, deve cuocere per una notte intera e viene distribuita in piazza a centinaia di persone