Finora, diciamo così, abbiamo scherzato. La bicicletta continuiamo a usarla e a pensarla soprattutto come un mezzo di locomozione rilassante e salutare per girare al parco nel fine settimana. Così dice un italiano su tre. Ma con la benzina a quasi due euro al litro, le nuove limitazioni alle auto introdotte in molte città tra isole pedonali, taglio dei parcheggi gratuiti, blocchi domenicali, zone a traffico limitato o "a pedaggio", la bicicletta viene sempre più guardata con occhi nuovi. Un mezzo veloce, ecologico e ovviamente economico per gli spostamenti quotidiani. Anche quelli per andare al lavoro. Sono 25 milioni gli italiani che usano la bici. Molti meno quelli che lo fanno sistematicamente. Anche se nell’ultimo anno l’aumento di chi è passato alla bici è stato del 23%, mentre il 17% di chi già la utilizzava ha dichiarato di averne incrementato l’uso. Segnali importanti, anche se per una vera svolta servirebbe un cambio forte di mentalità. Noi italiani, si sa, siamo un po’ "patacchini", tra la paura di arrivare sudati, il timore di sporcare i vestiti firmati o di prendere qualche goccia di pioggia. Ma chi già usa la bici come mezzo di spostamento quotidiano sa bene che nei tragitti fino a 7-8 chilometri non servono cambi d’abito e ci si può tranquillamente vestire eleganti. Il risparmio, su una distanza simile, può arrivare a 600 euro in un anno, e fino a 700 chili di CO2 emessa in meno. In tempi di crisi, di Imu, e di asme pediatriche, non è poca cosa. L’impatto sulla qualità dell’aria di una popolazione che progressivamente passa dall’auto alla bici (o ai mezzi pubblici, ovviamente) può essere significativo: il traffico privato è responsabile del 25-30% delle polveri sottili di una metropoli, ma metà degli spostamenti quotidiani motorizzati riguarda percorsi inferiori ai 5 chilometri, distanza che in bici si percorre in circa 15 minuti, parcheggio compreso. Anche per questo le rastrelliere delle città che hanno investito sul
bike-sharing sono ormai prese d’assalto. Il 4 maggio scorso a Milano è stato raggiunto il record di prelievi di biciclette pubbliche: 6.297 in un giorno solo. Chi prova non torna più indietro. Non si tratta di riscoprire la lentezza, ma di muoversi meglio e anche più rapidamente. Un’indagine Confcommercio ha rilevato che oggi nelle città ci si sposta in auto a 15 km/h in media, 7-8 nelle ore di punta: come a fine ’700. I margini di miglioramento ci sono. Come rivela il rapporto «Bici in Città» di Faib, Cittainbici.it e Legambiente, in Italia solo il 5% usa la bicicletta per andare al lavoro. Il principale deterrente? Per il 40% è la paura delle auto, seguita dall’assenza di piste ciclabili (25%). Timori comprensibili in un Paese nel quale le scuole-guida non insegnano che per superare un ciclista gli si deve lasciare almeno un metro e mezzo di spazio a fianco e, soprattutto, che si deve rallentare. Negli ultimi dieci anni in Italia ci sono stati 2.556 morti in bici, una media di 250 all’anno, meno solo di Germania (462) e Polonia (280). La diminuzione degli incidenti mortali relativi a ciclisti c’è stata, del 9%, ma molto meno rispetto al calo del 40% delle vittime per tutte le altre categorie di mezzo di trasporto. Eppure a volte basta poco per un’inversione di tendenza. Gli olandesi non sono nati ciclisti, lo sono diventati verso la fine degli anni Settanta, e solo per la volontà di risolvere alcuni problemi: il traffico eccessivo nelle città, l’elevato costo della benzina dovuto alla crisi petrolifera, la strage di pedoni ad opera delle auto. Le analogie rispetto al presente italiano sono molte, la differenza è che altrove l’opinione pubblica ha convinto la politica a investire nelle infrastrutture ciclabili. Ci riuscirà la campagna #salvaciclisti?La svolta è anche un fatto di buone pratiche aziendali o municipali. In questo l’Italia, salvo casi rari, è all’anno zero. Le imprese più sensibili possono fornire ai dipendenti un parcheggio custodito e armadietti (o docce) per il cambio. Non ci fosse la crisi del debito pubblico si potrebbe guardare all’esempio del Bicycle commuter act, con il quale l’ex presidente Usa George W. Bush concesse 20 dollari in più al mese ai pendolari che decidevano di passare alla bicicletta. Quanto alle politiche comunali per promuovere la mobilità ciclistica, purtroppo di veri
biciplan o
bicycle manager, con obiettivi nero su bianco di riduzione del traffico automobilistico a favore delle due ruote, ancora non se ne vedono, e molto è lasciato all’improvvisazione. I percorsi ciclabili vengono quasi sempre realizzati costruendo brevi tratti non collegati tra loro. Il risultato? Solo 3.300 km di piste in tutta Italia, quanti nelle sole città di Stoccolma, Helsinky e Hannover. Niente rispetto ai 35mila chilometri della Germania o ai 17mila della Gran Bretagna. Eppure la bici come mezzo di trasporto resta un desiderio di molti italiani. Convinti che una città a misura di bici sia, in fondo, anche una città a misura di bambini. E dunque di famiglie. Ma questa è un’altra storia.