La storia. «Se ho ripreso a camminare io anche la Terra può farcela»
Giovanni Ludovico Montagnani
Giovanni Ludovico Montagnani ha 34 anni, è un ingegnere elettronico e un attivista per il clima. Con alcuni amici ha fondato il collettivo “Ci sarà un bel clima”, un’associazione che anima il dibattito sull’ambiente in Italia e che nel 2023 ha riunito 100 rappresentanti di movimenti verdi intorno a un tavolo di progettazione politica a lungo termine chiamato “Stati generali per il clima”.
Esattamente due estati fa, il 3 luglio 2022, Giovanni è caduto da quaranta metri sul Mittelruck, una parete di roccia inclinata sul Lago Maggiore sulla quale stava arrampicando. Un volo equivalente all’altezza di un palazzo di 9 piani arrestatosi grazie alle corde a cui era assicurato e a un friend, un chiodo giallo che è rimasto puntato nella pietra e che oggi è appeso all’ingresso della casa a impatto zero di un paesino non lontano da Arona dove Giovanni abita con la moglie Francesca e le figlie Nora e Zelda.
Già, perché Giovanni a casa è tornato: si è salvato la vita ma si è rotto la tibia e lo zigomo, ha crepato una vertebra e ne ha fratturata un’altra, la prima lombare. «È come se un bicchiere di una pila fosse scoppiato in dieci pezzi» semplifica lui. La neurochirurga che lo opera fa un ottimo lavoro ma dice subito alla moglie Francesca: «Suo marito non camminerà più». E invece eccolo Giovanni due anni dopo: fa 50 km al giorno in bicicletta e macina sempre più metri sulle sue gambe, senza supporti.
Piano, però, a urlare al miracolo. Tra il punto zero e l’attuale di questa storia c’è in mezzo senz’altro un po’ di fortuna inspiegabile ma anche tanta abilità medica, capacità di studio e soprattutto forza di volontà che Giovanni racconta in un libro appena pubblicato per MonteRosa Edizioni intitolato “Dopo l’incidente. E se andasse tutto molto meglio del previsto?”. «Dopo che sono caduto – riavvolge il nastro l’autore – sapevo che si era rotto qualcosa nella schiena. Ero appeso all’imbrago, il compagno con cui arrampicavo (rimasto illeso, ndr) si è calato verso il punto in cui ero caduto, ha fatto alcune manovre di sicurezza e poi si è messo come una seggiola umana per cercare di scaricare da me il peso finché non è arrivato l’elicottero che mi ha portato all’ospedale di Novara». Da quel giorno inizia il lungo e difficile iter del decorso di chi è rimasto coinvolto in un incidente simile. «Non muovevo niente dall’ombelico in giù. Paraplegia completa dal punto di vista dei movimenti. Solo dopo tre settimane ho cominciato a sentire qualcosa» e da allora i miglioramenti motori sono continuati sia durante i 4 mesi di degenza sia con il rientro a casa in un percorso di ripresa che, rispetto a come si prospettava – rileva Giovanni – «è abbastanza incredibile. Anche se, devo ammettere, io ci ho messo del mio».
Fin dall’inizio in effetti quell’entusiasmo che chiunque conoscesse Giovanni prima dell’incidente gli leggeva sempre nella voce, sembrava – al netto di normali momenti di sconforto – non averlo abbandonato nemmeno in quegli attimi drammatici. «Facendo alpinismo di un certo tipo (Montagnani ha collezionato arrampicate e imprese sportive notevoli compresa una traversata sulle Alpi con gli sci alla volta del World Economic Forum di Davos per protestare contro gli investimenti nel fossile, ndr) ero ben conscio che quello che facevo era pericoloso. Così quando sono sopravvissuto ho relativizzato l’evento e sono riuscito a tenere l’umore alto».
Non facile: all’inizio Giovanni non riusciva a stare in equilibrio nemmeno da seduto, poi ha cominciato a muoversi con la sedia a rotelle, poi – grazie a interi pomeriggi passati piscina – è riuscito a scorrazzare su una handbike e persino a partecipare a tornei di paracanoa, vincendo il titolo italiano nella sua categoria. Infine rafforzando bacino, glutei, muscoli adduttori e quadricipiti si è rimesso in piedi. Ha mosso i primi passi. Sempre più numerosi. Con le stampelle e poi anche senza. «Adesso per esempio – dice – sono in ufficio: ci vado in bici elettrica; impiego tre ore tra andata e ritorno. Per camminare uso dei calzari che mi alleviano la fatica, intanto alleno piedi e cosce».
Anche se i progressi sono tantissimi, oggi Giovanni sa che non avrà indietro il corpo di prima ma anche che non si troverà nella condizione che gli avevano prospettato due anni fa. E ha adattato questa lezione dalla sua storia particolare a quella, universale, del pianeta. Parlando di ondate di calore, prezzi dell’energia e pannelli solari fin dal letto d’ospedale, Giovanni si è convinto che quel miracolo che stava succedendo a lui poteva capitare tale e quale anche alla Terra. Se studia e si impegna con ogni fibra, l’umanità non può far rivivere il pianeta del passato ma può sperare in un destino diverso dallo scenario peggiore. «Io credo – spiega Giovanni – di aver onorato una possibilità datami dalla fortuna ma ho anche studiato con spirito critico le pratiche di riabilitazione con maggiori evidenze scientifiche. Lo so che non tutti hanno gli strumenti intellettuali e culturali per farlo ed è anche per questo che bisognerebbe investire nella formazione dei giovani. Allenare il cervello, studiare e informarsi è un elemento chiave sia per cavarsela nei casi della vita sia per avere una società più resiliente. Quello che voglio dire è che per superare una crisi – personale o universale – serve volontà e impegno; è poco utile piangersi addosso. Anche io provo malinconia a vedere le vecchie foto dei ghiacciai alpini. Ma ormai quello che è perso è perso. Sta a noi tenere alta la speranza su quel che resta, guardare avanti e scrivere il futuro».