Parlano i ragazzi. «Noi, rinati grazie all'affido. Ma ora non lasciateci soli»
Presentato ieri a Roma un dossier che raccoglie le esperienze di 400 "care leaver"
Il volto limpido e autentico dell’affido – l’abbiamo ripetuto tante volte in questi mesi – non è quello urlato nelle piazze della strumentalizzazione politica. E neppure quello denso di ambiguità ideologiche e di interessi economici raccontato a senso unico da certi media. Al di là dei casi giudiziari – che certo esistono e su cui bisogna andare fino in fondo con tutta la determinazione necessaria – per riscoprire la verità dell’affido è fondamentale guardare in faccia i ragazzi che hanno vissuto questa esperienza in prima persona. Ascoltare le loro storie, scoprire quello che ha rappresentato per loro l’abbraccio generoso di una nuova famiglia, in un momento in cui nella propria casa non c’erano le condizioni minime per vivere e crescere serenamente. Oggi, diventati grandi, cosa pensano dell’esperienza vissuta? Per otto ragazzi su dieci l’affido è stato un’ancora di salvezza da situazioni altrimenti senza uscita e l’occasione per costruire legami importanti (87%). È quanto emerge dalla ricerca presentata ieri a Roma da Valerio Belotti (Università di Padova) e Diletta Mauri (Università di Trento) che ha coinvolto quasi 400 care leaver: una fotografia che mostra come per questi giovani i percorsi in comunità residenziale e in affido siano stati decisivi per nuove opportunità di vita (94%).
Davide, 30 anni: «Ho abbattuto un muro e l’ho ricostruito» Ma cosa significa vivere in affido per tanti anni? «È come but- tare giù un muro e ricostruirlo daccapo. Ma questa volta con i mattoni buoni», racconta Davide B, trent’anni di Verona, attivo nel network nazionale messo insieme dall’associazione Agevolando per i ragazzi che hanno vissuto parte della loro vita 'fuori famiglia'. «Sono uscito di casa a tre anni. La situazione era molto, molto difficile. Sono stato in comunità poi in un famiglia affidataria. A nove anni sono tornato a casa, ma neppure questa volta ho potuto restare». Davide preferisce non spiegare i problemi che si è lasciato alle spalle. «Dico soltanto che la famiglia che mi ha aperto le porte di casa è stata la mia salvezza. Ho vissuto con loro dai 11 agli 19 anni, anzi sono ancora la mia famiglia perché, quando ci sono dei problemi, devo raccontare qualcosa di importante oppure durante le festività, torno da loro». Da alcuni anni ha conquistato l’autonomia. È laureato in infermieristica e lavora a Verona. «I miei genitori affidatari – racconta ancora – mi hanno trasmesso valori, mi hanno dato regole, mi hanno sostenuto nell’affrontare i rapporti con la mia famiglia d’origine che, in qualche modo, non si sono mai interrotti. Anche i miei 'nuovi' mi hanno accolto come uno di loro, erano più grandi di me. E la loro presenza è stata ed è fondamentale».
Un progetto diffuso in tredici regioni con oltre 400 ragazzi Il progetto 'Care Leavers Network', di cui si è parlato ieri alla Camera, dalla presenza del presidente Roberto Fico, è diffuso in 13 regioni. È finanziato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e realizzato da Agevolando in collaborazione con il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca). Un nuovo impegno concreto in ambito legislativo che riguarda giovani fuori famiglia oltre i 21 anni, è stato annunciato dalla deputata del Gruppo misto Emanuela Rossini. Si pensa a un emendamento per una misura che vada a integrare e prolungare il Fondo per i ragazzi care leaver – oggi rivolto alla fascia d’età 18-21 anni – fino a 25 anni. «Si tratta di un fondo sperimentale su tre anni – spiega Federico Zullo, presidente di Agevolando – che da un lato ha rappresentato un risultato storico ma che ci dice anche come il sistema di accoglienza vada migliorato, soprattutto per quanto riguarda la transizione all’autonomia di questi ragazzi».
Maria N. «In casa famiglia sono stata accolta, ascoltata, e sono rinata» Un problema vissuto in prima persona anche da Maria N. di Salerno, che oggi ha 26 anni. Arrivata dalla Romania, ha vissuto in casa-famiglia per 6 anni. «Un’esperienza molto intensa. Mi manca ancora. La comunità è stata la mia salvezza, ho imparato le regole giuste, sono rinata. Sono riuscita a rimanere lì fino a 19 anni, quando ho trovato una casa e un lavoro».
Una ricerca per ascoltare i 'fuori famiglia' «Le narrazioni proposte dagli adolescenti colgono e propongono spesso aspetti del lavoro sociale che spiazzano non di poco gli adulti che hanno la responsabilità della loro protezione e che li frequentano abitualmente », spiega Valerio Belotti dell’Università di Padova. La richiesta di fondo dei ragazzi è quella di tenere in considerazione il loro parere. E poi implorano chiarezza, trasparenza, verità. Di grande impatto l’appello agli assistenti sociali: «Abbiamo il diritto di sapere cosa sta succedendo, i motivi per cui veniamo allontanati dalla nostra famiglia. Per questo vi chiediamo di trovare i modi e le parole per comunicarceli, adatti alla nostra età, per quanto difficile sia » . Altrettanto importante la richiesta di non essere giudicati – « ma non giudicate neppure le nostre famiglia» – di essere accompagnati, di non essere lasciati 'in sospeso', di essere interpellati prima di decisioni importanti. Ieri, alla Camera. a rispondere alle loro sollecitazioni c’erano tra gli altri Maria Francesca Pricoco, presidente associazione nazionale dei magistrati per i minorenni e la famiglia e Gianmario Gazzi, presidente Consiglio nazionale ordine assistenti sociali.
Una “care leaver” della Lombardia (da In viaggio verso il futuro. L’accoglienza "fuori famiglia" con gli occhi di chi l’ha vissuta, Care Leavers Netwotk Italia)