«Questo popolo ha dato un esempio di comprensione e di solidarietà umana ad un’Europa dove ancora ci sono molti pregiudizi nei confronti dell’immigrazione e di quello che rappresenta». Mario Vargas Llosa il Nobel per la letteratura ce lo ha in tasca da tre anni. E ieri lo scrittore peruviano si è unito a quanti invocano il premio per la Pace all’isola di Lampedusa.Intanto, continuano a sbarcare. E a Lampedusa (come a Siracusa, a Catania, ad Agrigento e nella Locride), c’è chi ormai veglia le coste sapendo che, presto o tardi, ci sarà da sfidare l’alta marea per portare a riva quanti rischiano di spiaggiarsi per sempre. Una dozzina i morti solo nella scorsa settimana; ventimila negli ultimi dieci anni.Perciò l’appello dello scrittore latinoamericano ha un valore che supera il mero "endorsment". È una chiamata a quel mondo di intellettuali e "maestri di pensiero", perché escano allo scoperto e a gran voce si uniscano a quanti – specie dopo la visita dirompente di Papa Francesco – possano promuovere un lessico e una mappa dei valori che prenda a modello i lampedusani, quelli che si chinano sui profughi e chiedono «
o’ scià, comu stà?», affratellandosi da subito con quel «fiato mio, come stai?». Gente, per dirla con Vargas Llosa – ieri a Santa Margherita di Belice (Agrigento), dove ha ritirato il premio "Giuseppe Tomasi di Lampedusa" – che non è ancora stanca di «aiutare i migranti provenienti dal Maghreb e dall’Africa subsahariana che spesso arrivano in condizioni disumane».Grazie alla campagna di
Avvenire e all’iniziativa dei giornalisti stranieri che vivono in Svezia, la candidatura di Lampedusa al Nobel è ormai ufficiale. Deciderà la giuria di Oslo. Ad oggi, con ampie interviste rilasciate al nostro giornale, si sono uniti il presidente del Senato, Piero Grasso; il suo predecessore, Renato Schifani, l’esponente del Pd Anna Finocchiaro, lo scultore Mimmo Paladino, il cantautore Claudio Baglioni, l’attore siciliano Beppe Fiorello e il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta. Altri se ne stanno via via aggiungendo.Una volta, riferendosi alla cultura occidentale, proprio Vargas Llosa ne indicò uno dei punti di forza. Riletto oggi, sembra abbia molto a che fare anche con il modo con cui fino ad ora si è pensato di governare il fenomeno migratorio e di come, al contrario, occorra cambiare le lenti. «Il suo merito più significativo – scrisse l’autore naturalizzato spagnolo –, quello che, forse, costituisce un "unicum" nell’ampio ventaglio delle culture mondiali e che le ha consentito più volte di risorgere dalle proprie rovine quando pareva condannata a morte certa, è stata la capacità di fare autocritica».Nel celebrato "Il sogno del celta", Vargas Llosa raccontò l’odissea esistenziale di Roger Casement (1864-1916), console britannico nel Congo Belga, «avventuriero, mistico, amico dei negri», fra i primi europei a denunciare le atrocità del colonialismo. Un «mondo senza legge – lo definì l’autore –, basato sull’avidità e l’affanno di lucro». A Lampedusa magari non tutti conoscono le vicende narrate dall’intellettuale peruviano, ma sanno cosa esprimono gli occhi di un profugo. E ha ragione Mario Vargas Llosa, quando sostiene che «questo popolo ha dato un esempio di comprensione e di solidarietà umana».