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La storia. Nicol, la vita a 480 grammi. «Mi chiedevano di abortire»

Alessia Guerrieri martedì 13 ottobre 2020

È andata contro ogni pronostico, Nicol. Aggrappandosi alla vita sin dal primo respiro, anche se i suoi minuscoli polmoni hanno avuto da subito bisogno di aiuto. Troppo poche, infatti, 23 settimane dentro la pancia della madre e troppo pochi i suoi 480 grammi distribuiti su 27 centimetri di lunghezza per poterle evitare l’incubatrice e la terapia intensiva in cui ha vissuto per quattro mesi. Ma Nicol aveva fretta di uscire già da tempo, e soprattutto aveva voglia di vivere anche se le statistiche le davano meno del 30% di possibilità di sopravvivenza e ancor meno senza danni cerebrali, che l’ultima risonanza magnetica esclude. Un distacco della placenta ha costretto a un cesareo d’urgenza mamma Jessica, 27 anni, che come la sua bambina ha rischiato di morire dandola alla luce.

Un percorso a ostacoli, quello di questa bambina che a distanza di cinque mesi è arrivata tuttavia a pesare quasi 2,5 chilogrammi e così è potuta finalmente tornare a casa a conoscere i fratelli Alessandro e Sofia, di 6 e 4 anni. «Sapevo sin dall’inizio che ce l’avrebbe fatta. Perché in questi mesi lei ha sempre fatto il contrario di quello che le statistiche mediche dicevano. Per questo l’ho voluta chiamare Nicol Vittoria».

Ora che la vittoria più difficile è raggiunta e, finalmente, la può stringere tra le braccia tutto il giorno, mamma Jessica può rilassarsi e raccontare il calvario che ha vissuto la piccola Nicol da quando è nata prematura l’8 maggio scorso al Policlinico Umberto I di Roma. Prima rianimata, poi aiutata a respirare con le cannule nasali infine, causa peggioramento delle condizioni, intubata e ventilata meccanicamente per due mesi. «Non si è fatta mancare nulla Nicol – ora ci scherza Jessica – la pervietà del dotto arterioso, una sepsi da stafilococco, un innalzamento della glicemia e una retinopatia della prematurità. Per fortuna si è subito dimostrata una gran guerriera e una mangiona». Così ha superato tutte le battaglie, con «la forza che caratterizza le femminucce» e le terapie più innovative, anche se non sono mancati i momenti bui.

«La forza me l’ha data la preghiera – racconta la giovane madre – insieme alle parole sempre confortanti di medici e infermieri, in particolare i sorrisi rassicuranti della dottoressa Viviana Cardilli che ha avuto in cura Nicol». Non le bastavano certo le quattro ore al giorno in cui poteva stare accanto alla sua piccola in terapia intensiva, stringerle la mano e sussurrarle che a casa l’aspettavano tutti, da papà Valentino a nonna Rita.

Ma erano vitali, anche con tutte le misure di sicurezza imposte dal Covid–19, per dare forza a Nicol e anche «per provare a spazzare via dalla mente i cattivi pensieri». Come pure è stato fondamentale tenerla stretta al petto, pelle a pelle come si fa nella marsupioterapia, facendo battere all’unisono i cuori. «La prima volta che mi hanno messo in braccio Nicol è stato dopo un mese, pesava 700 grammi – l’emozione è ancora netta nella voce di Jessica – lì è come se avessi partorito per una seconda volta, visto che durante il parto ero sotto ossigeno ».

E pensare che nel percorso tortuoso della gravidanza, in un altro ospedale «mi avevano anche prospettato come ipotesi l’aborto terapeutico, ma ho rifiutato subito», racconta Jessica. Perché «se le cose non dovevano andare doveva deciderlo questa bimba – un sorriso le illumina il viso – l’avrei accettata con qualsiasi problema». Adesso Nicol ha davanti ancora controlli, forse più in là un intervento, ma le premesse per il futuro ci sono tutte.