Jean-Claude Juncker rompe gli indugi, e sorprende tutti. A una settimana dallo scoppio del caso LuxLeaks, il presidente della Commissione nonché ex premier del Lussemburgo si presenta prima davanti alla stampa nel tradizionale briefing di mezzogiorno, poi, senza alcun invito formale, davanti al Parlamento Europeo riunito in plenaria a Bruxelles. Il tutto annunciando una proposta di normativa Ue per lo scambio automatico di informazioni sui tax rulings (le decisioni anticipate sulle imposte da pagare, al centro dello scandalo LuxLeaks) la cui preparazione è stata affidata al commissario agli Affari economici e alla Tassazione Pierre Moscovici. Proposta che Juncker porterà anche al G20 di questa settimana in Australia. «Non c’è dubbio, è stato un errore non esser venuto subito a spiegare», ammette con franchezza, presentandosi ai giornalisti amareggiato per la tempesta di fango che lo ha investito per la rivelazione che oltre 300 multinazionali hanno eluso il fisco grazie a filiali in Lussemburgo. «Più volte – dice – la Commissione Europea ha confermato che i tax rulings sono compatibili con il diritto Ue». Del resto «non è una specificità lussemburghese, si fa in 22 stati membri Ue». Juncker spiega che «tutto quel che è avvenuto è stato fatto in ottemperanza con le leggi del Granducato», del resto «da noi né il premier, né il ministro delle Finanze hanno il potere di dare istruzioni alle autorità fiscali, come invece succede in altri Paesi». Anche se naturalmente, «come premier ero politicamente responsabile di tutto». Ma attenzione, «non sono l’architetto di quel che voi chiamereste un problema lussemburghese, niente nel mio passato indica che abbia mai avuto l’ambizione di organizzare evasione fiscale in Europa », anche se è vero che nel Granducato vi è stato «un eccesso di ingegneria fiscale ». «Se questi tax rulings – aggiungerà – che pure erano legali, hanno portato a una situazione di non-tassazione, me ne rammarico. Ma questo è frutto del fatto che l’imposizione fiscale non è armonizzata nell’Ue». Per questo, «urge un’armonizzazione, che io ho sempre sostenuto». Non delle aliquote, ma della base imponibile delle imprese, oggetto di una direttiva in discussione. Più tardi, al Parlamento Europeo, il commissario agli Affari economici e alla Tassazione Pierre Moscovici si impegnerà a «dare precedenza alla proposta». Certo è che di conflitti d’interesse Juncker non ne vede neppure l’ombra. «Non capisco certi titoli di giornali che hanno parlato di 'Juncker contro Juncker'». Spiega che «è prassi da sempre della Commissione che il commissario competente si occupi del caso senza interferenze». «In passato – sottolineerà poi il suo braccio destro, il vicepresidente Frans Timmermans – ci sono stati vari casi simili in cui un commissario ha avuto a che fare con un caso che riguarda il suo paese, ma si è sempre risolto». Il Parlamento Europeo ha accolto Juncker abbastanza bene, un applauso (e solo pochi fischi a destra) ha salutato la fine del suo intervento. Il capogruppo dei Popolari Manfred Weber ha sottolineato che «niente di illegale è avvenuto in Lussemburgo», mentre il suo collega dei Democratici e Socialisti, Gianni Pittella, ha ringraziato Juncker per essere venuto. «Non accettiamo di indebolire Juncker. Sarebbe un regalo agli euroscettici», dice, pur insistendo sulla necessità di nuove regole in materia fiscale Ue. I liberali insistono per una commissione d’inchiesta, ma solo gli euroscettici dell’Efdd (cui appartengono l’Ukip britannico e i Cinque Stelle) chiedono a Juncker di «dimettersi o sospendersi ».«Non saremo duri con Juncker come persona – commenta Patrizia Toia, capo della delegazione Pd all’Europarlamento – ma come presidente e con la sua Commissione sì: dovrà dimostrare che davvero affronta con decisione la lotta all’evasione e dei paradisi fiscali».