Rovigo. La lettera dell'infermiera al neonato salvato: sii felice, un giorno ti rivedrò
La dottoressa Tarabini (a sinistra) e l'autista dell'ambulanza Marco Marangon. Al centro l'infermiera Giorgia Cavallaro (Ufficio stampa Aulss 5 Veneto)
Pesa quasi 3 chili, è lungo 47 centimetri e sta bene il neonato trovato abbandonato in una borsa nei pressi del cimitero di Rosolina Mare in provincia di Rovigo. Giorgio, così l'ha chiamato l'infermiera Giorgia che l'ha soccorso per prima, è ricoverato in ospedale e ha già "divorato" il suo primo latte. Ma ha rischiato grosso.
Ad accorgersi del neonato è stata un'anziana signora che stava attraversando lo spiazzo antistante il cimitero quando ha sentito un pianto continuo provenire da un cassonetto dei rifiuti. Non ha avuto il coraggio di alzare il coperchio e ha chiamato il 112 e il 118 del Suem. In appena 8 minuti è arrivata un'ambulanza: i sanitari hanno prelevato dal bidone la borsa (un porta racchette da tennis) scoprendo il neonato, nudo, ancora coperto dalla vernice carneosa. Si muoveva e aveva un bel colorito roseo. Ma aveva già un inizio di ipotermia. È stato subito ricoverato in "codice rosso".
Giorgio, un bimbo sano di razza caucasica, era nato da circa un'ora e aveva ancora placenta e cordone ombelicale attaccati quando è stato soccorso. Non è da escludere che sia stato partorito nelle vicinanze. Dopo i timori iniziali, il quadro clinico è rapidamente migliorato.
«L'azienda ospedaliera - ha detto Antonio Compostella, direttore generale dell'Ulss 5 - è felice per l'esito dell'intervento e della risoluzione di una situazione grave e dolorosa che nasconde dietro altre criticità. Sicuramente l'emergenza è stata risolta con prontezza, salvando la vita al bambino».
I carabinieri, informata l'autorità giudiziaria, hanno avviato le indagini per rintracciare la donna che ha partorito e abbandonato il bambino.
LA LETTERA DELL'INFERMIERA AL PICCOLO GIORGIO: SII FELICE
Intanto l'infermiera 35enne che per prima l'ha soccorso e che gli ha dato il nome ha scritto una lettera al piccolo, pubblicata sul Corriere Veneto:
«Caro Giorgio,
l'altra notte non ho chiuso occhio pensando a te. Mi piacerebbe che un giorno lontano, quando sarai grande, qualcuno possa farti leggere questa lettera. Magari le stesse persone, la tua nuova mamma e il tuo nuovo papà, che nel frattempo avranno trovato le parole giuste per rivelarti com'è cominciata la tua vita con loro, circondato dall'amore che meriti e che qualcuno aveva deciso che non dovevi avere. Io posso solo raccontarti in che modo sei entrato nella mia, di vita, perché già so che non ne uscirai mai più.
È la storia del tuo primo giorno, che poi è anche la storia del nome che porti. Il mio nome. Ho 35 anni e lavoro come infermiera nel Pronto soccorso della Casa di cura Madonna della Salute, di Porto Viro. Sembrava una mattina come tutte le altre, scandita da piccole e grandi emergenze. Poi è arrivata quella telefonata: "C'è un bambino abbandonato davanti al cimitero di Rosolina, non si muove, è morto". Sull'ambulanza siamo salite io e la dottoressa Anna Tarabini, mentre alla guida c'era Marco Marangon, che è partito a razzo.
Dopo pochissimo è arrivata una seconda chiamata: "Il neonato piange". È lì che abbiamo saputo che eri vivo.
Marco pareva un pilota di Formula 1, è stato formidabile: appena sei minuti dopo la prima telefonata eravamo di fronte al cimitero, con i carabinieri che nel frattempo avevano aperto quella sacca da tennis rossa. Ti avevano rinchiuso lì dentro, adagiandoti sopra una copertina bianca. La dottoressa ti ha portato nell'ambulanza e ti ha visitato. L'indice di Apgar, che misura i parametri vitali, ci ha detto che stavi bene: è lì che ho capito quanta forza possa starci in un corpicino così piccolo.
Seguendo le indicazioni della dottoressa, che per prima si è presa cura di te, ti ho tagliato il cordone ombelicale. Avevi i piedini e le manine gelate, abbiamo alzato il riscaldamento al massimo. Mentre Marco ripartiva ti ho preso in braccio e ti ho posato al mio petto coprendoti con il lenzuolino sterile, una coperta, la mia maglietta, con qualunque cosa potesse restituirti un po' di calore.
Il suono delle sirene ti ha dato uno scrollone, ti sei messo a piangere. È lì che hai aperto gli occhi, mi hai guardata, ti ho fatto una carezza e immediatamente hai cercato di succhiare il dito. Avevi tanta fame. In dodici anni di servizio, non avevo mai provato delle emozioni così intense.
Mentre ti scrivo, sei in ospedale dove hanno scelto di darti il mio nome. Le colleghe dicono che stai bene, che hai mangiato, che ce la farai a diventare grande, a dispetto di chi non voleva. Ho riflettuto su cosa possa spingere qualcuno ad abbandonare un neonato e non ho trovato risposta.
Ma in fondo, l'unica cosa che conta è che presto avrai una mamma e un papà che ti vorranno bene. Ho anche pensato che quella mamma vorrei essere io, che non ho figli. Purtroppo so che non sarà possibile: l'iter per le adozioni è lungo e complicato e c'è qualcuno che ti sta aspettando da molto più tempo di me. Lo dimostrano le chiamate che sto ricevendo: persone che vogliono accoglierti, altre che si offrono di acquistare abiti e latte in polvere.
E allora, posso solo sperare di incontrarti di nuovo, in futuro. Sarebbe bello vedere come sei diventato. Ti auguro di essere felice. Di crescere sano, di conservare la forza che hai dimostrato di fronte a quel cimitero che dovrebbe servire a contenere i morti e che invece ci ha restituito una vita. Ma soprattutto, ti auguro di diventare un uomo con dei valori positivi, uno disposto a qualunque sacrificio per proteggere il proprio bambino. Ciao Giorgio».
E intanto si continua a cercare la donna che ha messo al mondo il bambino. Se mai verrà individuata, rischia accuse che vanno dall'abbandono di minore fino al tentato omicidio.