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8-9 settembre 2023. Un anno fa il terremoto in Marocco: e si vive ancora sotto le tende

Ilaria Sesana lunedì 9 settembre 2024

Una tendopoli nella regione dell'Alto Atlante

Decine di container bianchi e di tende – coperte da sottili teli di plastica – punteggiano la valle in cui sorgeva il villaggio di Talbourine, sui monti dell’Alto Atlante, nel Centro del Marocco. Sono abitazioni di fortuna installate sulla sponda opposta del torrente rispetto a dove, un anno fa, sorgeva il villaggio di cui oggi restano solo le macerie.

È passato un anno dalla notte tra l’8 e il 9 settembre 2023, quando un terremoto di magnitudo 6,8 ha colpito le province di El Haouz (epicentro del sisma), Chichaoua e Taroudant oltre alle località più note e amate dai turisti di Marrakech e Ouarzazate, causando quasi tremila morti e più di 5.500 feriti accertati. Al dramma umano si sono aggiunti i danni alle infrastrutture: le case di argilla e pietra con i tetti in legno e paglia si sono sbriciolate sotto le scosse. Diciannovemila abitazioni sono state completamente distrutte e 59mila sono state danneggiate.

Ancora senza una casa

A un anno di distanza, la maggior parte della popolazione sfollata continua a vivere nelle tendopoli e nei container. Una situazione già complessa e che rischia di aggravarsi ulteriormente con l’arrivo dell’inverno. «Già prima del terremoto questa era una zona estremamente povera e dimenticata, come tante altre aree lontane dei grandi centri urbani. È il “Maroc oublié”, il Marocco dimenticato, qui la gente vive di agricoltura e pastorizia. Sono valli bellissime, ma il turismo non ha avuto un impatto significativo sull’economia locale» spiega Federica Gatti, responsabile per il Marocco delle attività di Cefa, ong presente nel Paese da 26 anni con progetti promuovere lo sviluppo socio-economico e la lotta alle diseguaglianze.
«I residenti vivono ancora in rifugi temporanei, alcuni con accesso al programma di aiuti governativi, mentre altri ancora in attesa di assistenza» aggiunge Caritas Italiana che fin dai primi giorni dell’emergenza è intervenuta per portare aiuto alla popolazione in collaborazione con Caritas Marocco e altre ong presenti nel Paese, tra cui Cefa. Le famiglie, avverte ancora Caritas Italia hanno esaurito redditi e risparmi. Anche la ripresa delle attività lavorative è complessa: «Nelle zone rurali, le attività agricole stanno timidamente riprendendo, ma le risorse di sementi restano limitate, soprattutto per il grano, mentre gli allevatori lamentano le difficoltà di nutrire il bestiame».

Due sfollati a un anno dal terremoto - undefined

Sfide materiali e ferite invisibili

Il governo di Rabat – che aveva subito annunciato aiuti economici diretti alle famiglie colpite dal sisa – ha erogato a partire da novembre 2023 un sussidio mensile di 2.500 dirham (poco meno di 250 euro) per ogni nucleo familiare. L’assegno, della durata di 12 mesi, è stato integrato da un risarcimento di 140mila dirham (circa 1.300 euro) per le case completamente distrutte e 80mila dirham (circa 7.500 euro) per quelle parzialmente danneggiate.
Oltre alle sfide materiali, le comunità devono fare i conti con ferite invisibili ma altrettanto profonde sia sui singoli sia sul tessuto sociale. Oltre a portare aiuto materiale (tende, materassi, kit igienico-sanitari) nei giorni e nei mesi successivi al sisma Cefa ha attivato programmi di sostegno psicologico: «Nella prima fase abbiamo lavorato per prevenire i disturbi post-traumatici da stress – ricorda Gatti –. Poi siamo rimasti per aiutare i sopravvissuti ad affrontare quei problemi che man mano emergevano: superare il lutto per la morte dei familiari, affrontare i traumi legati al terremoto, alla perdita della propria casa. Abbiamo avuto una buona risposta».

Emergenza scuole

C’è poi un’altra emergenza che incombe sulle regioni colpite dal sisma, quella dell’abbandono scolastico. «Il terremoto ha distrutto oltre 530 scuole – spiega Gatti –. Da quello che possiamo osservare, per i bambini delle elementari sembra che in diversi villaggi le lezioni siano riprese». La situazione è più complessa per gli studenti della secondaria che sono stati assegnati a degli internati appositamente attivati a Marrakech e Agadir. Ma le condizioni di vita precarie in queste strutture e la volontà di non voler lasciare le proprie famiglie ha spinto molti a non volersi trasferire. «Stiamo parlando di studenti molto giovani, che in molti casi hanno vissuto un lutto e vogliono, comprensibilmente, stare vicino ai propri cari – conclude Gatti –. E questo rischia di alimentare la dispersione scolastica».