Testimonianze. Storie di profughe: la vita normale, la guerra, poi la fuga
Le giovani profughe ucraine intervistate, con la bandiera del loro Paese
Per noi, che la studiamo sui libri, la Grande guerra è già epopea. Per Tanya, Olha, Aurika, Myroslava, Zlata, e gli altri profughi ucraini rifugiati nel monastero di San Giovanni nel cuore di Parma, la “Prima guerra” è quella del 2014, quando con l’invasione russa di una parte di Donbass e della Crimea il mondo ha iniziato a cambiare. La “Grande guerra” è invece scoppiata il 24 febbraio del 2022, e lì il mondo si è proprio ribaltato… «Avevamo una vita normale, uguale alla vostra, una bella casa, una laurea, un ottimo lavoro, la macchina, le vacanze estive, la sera con gli amici al ristorante o in discoteca, tutto esattamente come voi», raccontano. Poi dall’oggi al domani ti dicono che c’è la guerra, «ci si telefonava all’alba uno per avvertire l’altro, è scoppiata la guerra, non venire al lavoro…».
Quanto sia incredibile lo cogli proprio dai loro racconti a due anni di distanza, dagli occhi che si riempiono dell’antico terrore, oggi dimenticato nella quotidianità dell’accoglienza pur triste ma almeno sicura, però pronto a riemergere se chiedi di ricordare: «Io non avevo la minima idea di cosa fosse una guerra – calca le sillabe Tanya Lyvtvyn, 37 anni, treccia bionda e occhi azzurri, mamma di Myroslava, 12 anni –, quando mia nonna diceva che la cosa più importante era che non scoppiasse mai, non la capivo, ridevo! Che guerra doveva scoppiare? I russi erano nostri amici, eravamo un Paese moderno, 42 milioni di abitanti, avevamo tutto, come si poteva temere una coisa del genere? La mattina del 24 febbraio alle 5 mi squilla il telefono, è una collega che mi dice di non muovermi. Chiedo stupita il perché e lei: Tanya, la guerra!». Minuti di incredulità, poi mezz’ora dopo la prima esplosione che fa tremare i vetri e il cuore: «Cosa si fa quando c’è una guerra? Che ne sapevo io? Mi chiedevo: ora arriveranno gli aerei sopra casa mia come nei film? Devo correre fuori o è più sicuro dentro? Posso dormire nel letto?».
Un film, appunto. Cose che non penseresti mai possano succedere a te. E raccontate a Parma, negli altissimi saloni dell’ex studentato universitario del monastero benedettino, dove dall’aprile del 2022 la Prefettura ha chiesto alla Caritas di dare accoglienza a famiglie profughe, suonano surreali. «Abitavamo a Dnipro, al centro dell’Ucraina. Il nostro vicino aveva un piano interrato e ha accolto quattro famiglie, siamo rimasti là sotto per un mese, lavoravo on line con gli allarmi che suonavano e le bombe che cadevano. Poi la ditta per cui gestivo la grande distribuzione ha chiuso e ho perso il lavoro – continua Tanya –. Ho preso una piccola valigia perché pensavo di tornare presto e con la mia bambina è iniziata la fuga». Per il profugo di guerra la prima tappa è un qualsiasi luogo in cui nessuno spari e bombardi, all’inizio basta questo, ma poi l’inferno continua, tra viaggi verso l’ignoto, separazioni, paura per chi è rimasto… «Ogni giorno sento i miei a Dnipro ed è terribile, anche ieri mentre parlavo via WhattsApp sul computer con mia cugina ho visto cadere un missile alle sue spalle, lei sembrava abituata, per me un incubo».
Tanya sul fiume a Dnipro. "La guerra ci ha tolto tutto" - L.B.
Anche Aurika Zakhariia, 39 anni, nata nella parte di Donbass poi occupata dai russi e quindi profuga a Kiev già con la “Prima guerra” del 2014, racconta l’angoscia di un conflitto “visto” attraverso le chiamate alla madre e al padre. «Stavamo parlando, di colpo un boato e la conversazione che cade. Per due ore non hanno risposto più, pensavo al peggio. I nostri cari rimasti là ci chiedono di non guardare la tivù e non leggere notizie su internet…». Ride spesso, Aurika, quando il racconto si fa drammatico, è la sua autodifesa. Il 24 febbraio del 2022 al mattino presto non c’è ucraino che non ricordi dove fosse e cosa facesse. Lei, che era capoufficio, era già al lavoro come ogni giorno, quando un frastuono ha scosso l’edificio. «Non avevo mai sentito un rumore del genere, alzo lo sguardo e dalla finestra vedo cadere un missile – racconta ridendo a occhi bassi –. Un missile! Chi lo aveva mai visto? Non ci puoi credere. In quel momento una telefonata mi ha avvisata, eravamo in guerra». La sua famiglia aveva già perso tutto nel 2014 e a Kiev aveva ricominciato da zero, «ora con la Grande guerra succedeva di nuovo. Mio fratello il giorno prima, 23 febbraio, era andato in Polonia con solo lo zaino dei libri per fare un esame all'università. Non è più tornato a Kiev, se no avrebbe dovuto combattere, tanti amici giovani come lui sono scappati o sono già morti».
Aurika ancora felice nei giorni della pace, a Kiev - L.B.
In Italia è arrivata un mese dopo e da sola, perché il padre è stato fermato al confine: sotto i 60 anni vietato espatriare. «Già raggiungere la frontiera con la Polonia era stato un dramma – ricorda Aurika –. Alla partenza non sapevo cosa prendere, cosa porti via se non sai nemmeno dove andrai? Sotto choc ho buttato qualcosa in valigia e il 2 marzo alla stazione di Kiev con papà e mamma aspettavamo nella calca che partisse un treno. Sul primo non siamo riusciti a salire, poi è suonato l’allarme ed è caduto un missile. Non sapevamo se sarebbe arrivato un altro treno e la folla aumentava, una signora cadde a terra e venne travolta. La sera siamo arrivati a Leopoli, valigie, cani, gatti, un caos. Senza cibo né acqua lì abbiamo atteso dieci ore per passare in Polonia, ma quando credevamo di avercela fatta un militare, visti i documenti, ha bloccato mio padre… Papà e mamma sono tornati indietro e mi hanno costretta a lasciarli, volevo stare con loro nel mio Paese ma sono partita. Il treno poi si è fermato prima del confine, dovevamo proseguire a piedi di notte». Solo due chilometri mancavano, un’inezia per noi, non per una folla così accalcata da non riuscire a muoversi, «li abbiamo percorsi in dieci ore», ride di nuovo di fronte all’assurdo. Poi di colpo piange. «Tutti i giorni sogno di tornare in Ucraina, la guerra ci ha cambiato la vita, vedo da lontano tanto dolore e non posso fare niente, quando saremo di nuovo tutti e quattro insieme?».
Olha Riman, 28 anni, giornalista, a Dnipro ha tutta la famiglia. «Mio zio lavora nel servizio stalae per le situazioni di emergenza, quindi difende tutti i giorni la città e ha visto tanti morire. Io la guerra l’ho vissuta per un mese, nel marzo 2022 ero già in Calabria, ospite di una conoscente. Poi sono arrivata a Roma e lì ho contattato la Croce Rossa, ho trovato una casa e un lavoro come cameriera. Roma era sempre stata il mio sogno, ma ora da profuga era troppo grande, così sono andata a Frosinone come lavapiatti, poi sul Lago di Garda, il posto più bello del mondo. Scaduto il contratto mi hanno accolta qui a San Giovanni e ora a Parma cerco un lavoro». Lauree, sogni di carriera, storie interrotte. Legittimi desideri di riprendere la vita di prima: «Amo l’Italia e la vostra cultura, qui sto bene e vorrei restare – confessa Olha –, dalla Calabria in su ho incontrato solo gente meravigliosa e tanta accoglienza, sono veramente grata. Se la guerra finirà vedremo, ma per ora il mio futuro lo sogno qui». «Nel nostro Paese eravamo persone realizzate – la interrompe Aurika, laureata in Economia e con un master in controllo della qualità alimentare –, qui non voglio fare la badante o le pulizie», mormora, e ha ragione. «Non è una vergogna lavare i piatti, in Italia l’ho fatto per mesi e comunque anche da studentessa in Ucraina, ma rivorrei la mia vita. E la pace».
Aurika al lavoro in un bar italiano, "mi hanno accolta come un'amica" - L.B.
La pace, scuote la testa Olha, «non dovrebbe mai succedere quello che è successo nel 2014 e adesso, è un gioco politico il cui prezzo sono migliaia di vite umane». «Come può il Paese vicino invaderti per accampare diritti sul territorio altrui? – si anima Tanya –, pensate se la Francia invadesse il Piemonte e vi facesse di colpo guerra, sarebbe da non credere. Eppure a noi è successo e dai russi non ce l'aspettavamo, la nostra Costituzione del 1991 con l'indipendenza nazionale fissava i confini, Putin è un terrorista. In Russia avevo zii e cugini e oggi non ci parliamo più, dicono che Putin è venuto a liberarci, ma da chi? Come si può cedere a tal punto alla propaganda di regime?». Lo spiega Aurika: «Noi ucraini siamo spiriti liberi, come voi italiani, abbiamo senso critico, i russi invece storicamente hanno sempre paura e obbediscono ai dittatori, vedi come non reagiscono alla morte di Navalny. Eppure li pensavamo amici, almeno fino a Bucha». Bucha, la città martire. «Tutto il mondo nel marzo 2022 ha visto la strage di civili disseminati a terra, questo va oltre la guerra», riprende Tanya, «e dopo Bucha sono arrivate Mariupol, Kherson, Kharkiv... Addolora vedere che all'inizio gli italiani erano tutti per gli aggrediti, ora tanti tengono per l'aggressore».
«Oggi comunque siamo al sicuro e non possiamo che dire grazie all’Italia e alla Caritas», riprende Olha. La paura però scorre sotto pelle, ancora adesso quando un aereo vola basso l'istinto è lanciarsi sotto il tavolo, «i fuochi d'artificio sparati per un compleanno ci hanno terrorizzate». Da una delle camere che danno sul salone del monastero spunta anche Zlata, 15 anni, sua mamma ha preferito non farsi intervistare ma lei vuole dire la sua: «La mia storia è diversa, la mia famiglia viveva nel Donbass occupato dai russi quindi io la guerra l’ho vissuta per otto anni, sempre nella paura. Ora però ho dimenticato tutto – sorride con l’energia della giovanissima età – o quasi… quando passa il camion della spazzatura che fa baccano mi va il cuore in gola». A Parma frequenta la seconda superiore, «voglio fare la dentista, il mio futuro ormai è qua dove ho tanti amici, in Ucraina non ho più nessuno».
Tanya in un campo di grano in Ucraina. "Cielo e spighe, i colori della bandiera", dice - L.B.
Anche Myroslava, la figlia di Tanya, seconda media, si sente italiana e sogna di vivere di nuovo in una vera casa, ma «per affittarne una devi avere un lavoro fisso, e perché ti diano un lavoro devi avere stabilità, è un circolo vizioso», sospira la madre, che da ex manager si arrangia con brevi contratti di operaia nella catena di confezionamento di una nota azienda che produce salsa. Nella loro villetta a Dnipro non li aspetta più nessuno, neanche il cane, troppo grande per portarlo via nella fuga: “Lo avevamo lasciato a un amico pensando di tornare presto, ma quando non ci ha più viste è scappato per cercare noi, era della stessa razza di Hachiko, il cane fedele fino alla morte nel film con Richard Gere: troppo triste tornare in quella casa». La guerra è anche questo.
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