Il caso. Fregate all'Egitto, partiti divisi tra interessi industriali e diritti umani
Una fregata Fremm della classe Bergamini, come le due che saranno vendute all'Egitto, un Paese accusato di non rispettare i diritti umani e di non voler trovare i colpevoli dell'orribile morte del cittadino italiano Giulo Regeni
Non è bastata la rassicurazione, tre giorni fa, del ministro degli Esteri Di Maio al question time alla Camera – «la vendita non è stata ancora autorizzata», aveva preso tempo il numero uno della Farnesina – a calmare gli animi. La maxicommessa per la vendita di armamenti al Cairo da 9-11 miliardi, di cui nell’immediato c’è la cessione di due navi Fremm (fregate della classe Bergamini, di nuova generazione ndr) per 1,2 miliardi di euro, agita la maggioranza, con una parte del M5s che chiede al ministro degli Esteri di chiarire e il Pd in pressing su Conte perché prenda pubblicamente posizione sulla questione delle navi e chieda al governo egiziano di arrivare alla verità sulla morte nel Paese africano di Giulio Regeni, il ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio del 2016 al Cairo.
Due giorni fa, nel corso del Cdm è arrivato il via libera all’operazione e da allora le polemiche non mancano.
A Palazzo Chigi due sere fa il ministro della Cultura Dario Franceschini, capo delegazione del Pd ha chiesto appunto al presidente del Consiglio di chiarire pubblicamente i dettagli dell’operazione e di non smettere di chiedere al governo di al-Sisi la verità per Regeni, anche se le due questioni vanno separate: uno è un dossier «solo commerciale», l’altro un doloroso caso politico-diplomatico.
In Consiglio dei ministri Conte avrebbe infatti svolto un’informativa sulla vendita delle due fregate e i dem non si sarebbero opposti ma, appunto, Franceschini avrebbe fatto mettere agli atti la sua richiesta. Informativa che rappresenta un atto informale ma politicamente vincolante, soprattutto per la Farnesina all’interno della quale ha sede l’Uama (Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento) che ratifica questi accordi e che fa capo al sottosegretario M5s Manlio Di Stefano. E che non potrà non tenere conto della posizione del premier.
Prima del Cdm ci sarebbe stata anche una riunione del Pd su questo tema, cui hanno preso parte il segretario Nicola Zingaretti, il vicesegretario, i capigruppo e il capo delegazione. Ma anche a largo del Nazareno non si placano i mal di pancia, con l’ordine del giorno di Matteo Orfini in vista della direzione del partito per bloccare la vendita che ha già raggiunto più di 500 firme. «È stato commesso un grave errore politico a non essersi fermati e non aver posto alcuna condizionalità alla chiusura dell’accordo per le commesse di armi», è così lo sfogo di Laura Boldrini.
Anche Liberi e Uguali sono apertamente contrari alla commessa e chiedono di bloccare la vendita o quanto meno di discutere la questione in Parlamento. Ma lo scoglio più duro da superare anche per gli esponenti di governo grillini (Di Maio e Di Stefano in testa) sono soprattutto i dubbi all’interno dei 5 stelle e in particolare in quell’area vicina al presidente della Camera Roberto Fico, da sempre molto sensibile alla vicenda Regeni.
Imbarazzi e frizioni interne su cui si butta a capofitto il segretario leghista, Matteo Salvini. «Vedo che il governo litiga pure sulle navi all’Egitto, non so che tipo di trattative e di business sia in corso. Noto che litigano su tutto», osserva dal suo tour giunto a Palermo. Dal fronte di Forza Italia invece chiedono una «soluzione di equilibrio». Il vicepresidente azzurro, Antonio Tajani, infatti, auspica che il governo «pretenda la verità dall’Egitto sul caso Regeni, ma non possiamo bloccare la nostra industria di qualità. Dobbiamo tutelare la nostra industria e Fincantieri, continuando comunque a lavorare per scoprire la verità».