Migranti. Due naufragi nel Mediterraneo, oltre 40 dispersi. Sette salvati a Lampedusa
Un momento delle fasi di recupero dei superstiti
Due naufragi davanti alle coste della Libia in meno di 24 ore. Ennesime tragedie del mare che si portano via almeno 44 dispersi. Il primo naufragio, secondo le testimonianze dell’Oim, sarebbe avvenuto davanti alle coste di Zuara, in Libia, con 22 dispersi e 1 corpo recuperato. Sono in tutto 21 le persone al momento disperse e ci sarebbero anche tre bambini, nel secondo naufragio, avvenuto in acque libiche. Lo hanno raccontato i naufraghi (in tutto sette) soccorsi dalla Guardia costiera italiana, ieri mattina, a circa 10 miglia a sudovest di Lampedusa. Il barcone su cui viaggiavano si è ribaltato al largo delle coste libiche ma i sopravvissuti sono rimasti aggrappati al relitto per tre giorni. Fino all’arrivo dei soccorsi italiani, in zona sar italiana.
I sette, ascoltati dai poliziotti della squadra mobile della questura di Agrigento che sono presenti all’hotspot di Lampedusa, hanno riferito di essere partiti da Sabratah, in Libia, alle 16 di domenica. A loro dire, sul natante vi sarebbero stati soltanto sudanesi e siriani, tra cui i 3 bambini. Il barcone si sarebbe ribaltato a seguito delle cattive condizioni meteo.
«I 7 sopravvissuti, accolti dal nostro team a Lampedusa, sono in condizioni critiche, molti avrebbero perso familiari» scrive su X Chiara Cardoletti, rappresentante per l’Italia, la Santa Sede e San Marino dell’Unhcr.
Poche ore più tardi, mentre proseguono le ricerche dei superstiti, un nuovo intervento di soccorso della Guardia Costiera ha messo in salvo 19 persone che erano a bordo di un barchino di 6 metri. Si tratta di cittadini egiziani, libici, siriani e sudanesi. Il natante, soccorso dalla stessa motovedetta Cp324 che ha salvato i 7 siriani, era salpato da Sabratah in Libia, è stato sequestrato e il gruppo è stato sbarcato a Lampedusa. I migranti riferiscono d’aver pagato 5.500 euro per la traversata verso la Sicilia.
Proseguono quindi le ricerche dei dispersi che si trovavano sul barcone semiaffondato. Sono state attivate unità navali ed un aereo Atr 42 del Corpo. Il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo della Guardia costiera di Roma ha allertato inoltre i centri di soccorso libico, maltese e tunisino.
«La stragrande maggioranza delle persone morte erano siriane – racconta Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim –. Il numero di morti nel Mediterraneo centrale erano 1.047 prima di questi due ultimi naufragi quindi arriviamo a oltre 1.090 morti da gennaio. IlMediterraneo resta un mare pericoloso ma non si dà priorità al soccorso, che deve invece essere la priorità numero uno».
Anche Save the children punta il dito contro le tragedie in mare. Il team della Ong, «presente sull’isola, è intervenuto fin dai primi momenti dello sbarco per dare supporto ai sopravvissuti, fortemente provati, e fornire una risposta ai loro bisogni primari». «Il Mar Mediterraneo – prosegue la ong – si conferma ancora una volta una delle rotte più letali al mondo. Sono oltre 30.200, secondo dati Onu, i morti e dispersi in mare nel Mediterraneo dal 2014 , molti dei quali minori. Chi scappa da guerra, povertà estrema, crisi umanitarie, troppo spesso trova la morte nel tentativo di raggiungere un futuro possibile in Europa. Save the Children rinnova l’invito alle istituzioni italiane ed europee a un’assunzione di responsabilità affinché mettano al primo posto la vita delle persone in ogni decisione sulle politiche migratorie, attivando un sistema di ricerca e soccorso in mare e garantendo vie regolari di accesso».
Intanto, dopo i numeri snocciolati dalla Croce Rossa Italiana che gestisce l’hotspot sull’isola di Lampedusa e che certificano un calo del 71% degli arrivi solo nel mese di agosto, rispetto a un anno fa e la notizia dell’ennesimo naufragio, il sindaco della più grande delle Pelagie lancia anche lui un appello alla politica: servono i canali umanitari, chiede con forza.
«C’è stato un calo significativo di arrivi di migranti ed è evidente che le politiche del Governo stanno funzionando – ha detto il sindaco di Lampedusa e Linosa, Filippo Mannino – Ma è necessario che l’Europa si occupi di quel che si parla da tanto tempo, ossia i canali umanitari per far viaggiare e arrivare in sicurezza queste persone, altrimenti si continueranno ad avere morti nel Mediterraneo».
Un momento delle fasi di recupero dei superstiti - ANSA - Guardia Costera
Ma prosegue anche la stretta contro le Ong che salvano i migranti in mari. Dopo il fermo della nave Geo Barents di Medici senza frontiere, si è aggiunto ieri il blocco della Sea Watch5, a Civitavecchia, dopo aver sbarcato 289 persone. «Per 20 giorni dovremo rimanere in porto, impossibilitati a salvare vite», fa sapere la Ong tedesca. L’accusa, spiega Sea Watch, «è quella di aver soccorso senza aver prima ricevuto il permesso da parte delle autorità libiche, quando tuttavia il diritto internazionale non prevede di dover ricevere un’autorizzazione per poter soccorrere chi si trova in pericolo in mare». Inoltre , aggiunge, «il centro di coordinamento al soccorso libico non soddisfa i requisiti internazionali per poter essere definito tale. Anche il tribunale di Crotone ad aprile sentenziò che le attività dalla Guardia costiera libica non sono qualificabili come soccorso».
A ricostruire il viaggio che si è trasformato in tragedia sono stati i sopravvissuti, tutti siriani. I 7, che vengono ascoltati dai poliziotti della squadra mobile della questura di Agrigento presenti all'hotspot di Lampedusa, hanno riferito di essere partiti da Sabratah, in Libia, alle ore 16 di domenica. A loro dire, sul natante vi sarebbero stati soltanto sudanesi e siriani, tra cui 3 bambini.
«Siamo attoniti davanti all’ennesima tragedia consumata a largo di Lampedusa - scrive il presidente della Croce Rossa Italiana Rosario Valastro -. Mentre le Autorità competenti stanno cercando di fare chiarezza su quanto accaduto, i sette sopravvissuti di quello che sembra essere stato un naufragio, sono stati accolti all’hotspot di Contrada Imbriacola, dove stanno ricevendo tutta l’assistenza necessaria. L’umanità di volontarie e volontari, operatrici e operatori della CRI sta dando conforto a quanti, dopo terribili momenti, sono giunti sulle nostre coste, dopo essere stati recuperati in mare. Troppo spesso il viaggio di speranza che porta molte persone, donne, uomini, bambine, bambini, a compiere una traversata alla ricerca di una vita dignitosa si interrompe tragicamente. Vite spezzate che ci riportano alla mente i rischi che in tanti sono disposti a correre pur di poter stringere tra le proprie mani la speranza un domani migliore».