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Demografia. La paura del Covid farà crollare le nascite anche nel 2021

Massimo Calvi martedì 4 maggio 2021

Il calo delle nascite che nel 2020 ha fatto registrare il minimo storico di 404mila bebè – il 3,8% in meno in dodici mesi, con un numero medio di figli per donna sceso a 1,24 – proseguirà con toni ancora più drammatici per tutto l’anno in corso. Gennaio 2021 ha visto infatti una flessione delle nascite del 14,3% e l’anno potrebbe chiudersi con una diminuzione tra il 3 e il 5%, con un numero di nati da scenario di guerra, tra i 384mila e i 393mila. Il dato, allarmante, è frutto di un’elaborazione curata dal presidente dell’Istat, il demografo Giancarlo Blangiardo, diffusa insieme agli Indicatori Demografici per il 2020.

L’esercizio di estrapolazione mostra un Paese unito dalla paura e bloccato dall’insicurezza già dal febbraio 2020, quando l’emergenza sanitaria era ancora agli esordi da un punto di vista mediatico. Lo si vede bene dal fatto che nei primi dieci mesi dell’anno scorso il calo delle nascite viaggiava intorno al 2,7%, ma a novembre, cioè 9 mesi dopo il primo balzo dei decessi di febbraio, la caduta è stata dell’8,2% rispetto a un anno prima, e a dicembre, 9 mesi dopo il primo lockdown, del 10,3%. L’aumento del 40-50% dei morti della primavera 2020, in sostanza, avrebbe causato indirettamente un calo del 10% circa delle nascite a fine 2020 e inizio 2021, con il mese di gennaio che ha infranto la soglia dei mille nati giornalieri, scendendo a quota 992.

Blangiardo ammette che si tratta di un approccio grezzo, «basato sull’estrapolazione di un dato storico», ma questo non sminuisce il valore della proiezione. Se si osservano i picchi di mortalità della seconda ondata si può ipotizzare che dopo un assestamento ci sarà un nuovo crollo delle nascite nel cuore dell’estate, con cali ancora superiori al 10% in agosto. E il fatto che regioni come la Lombardia, inizialmente più colpita, e la Sicilia, meno esposta durante la prima fase pandemica, mostrino dati simili è probabilmente, spiega Blangiardo, la «chiara testimonianza di un Paese nel quale a ogni latitudine si è condiviso, per esperienza diretta o per via mediatica, quel clima di difficoltà e di paura capace di spingere gli aspiranti genitori a orientare i loro programmi verso tempi migliori».

La flessione ulteriore della natalità, che sta assestando la famiglia italiana a un solo figlio per coppia, si chiede il presidente dell’Istat, è «sintomo di un disturbo occasionale o conferma di un malessere strutturale?». La risposta si trova nel rapporto Istat sugli Indicatori Demografici. Dal 2008 al 2020 l’Italia ha perso il 30% di nati: al conto della crisi economica, dopo 12 anni si è aggiunto quello della crisi sanitaria. E invertire la tendenza sarà sempre più difficile: dei 13mila nati in meno nel 2020, 7mila sono semplicemente imputabili alla diminuzione strutturale del numero di donne in età fertile, dovuto a 30 anni di crisi demografica e di politiche per la natalità di fatto assenti. Allo scenario di declino si è dunque aggiunto il conto del Covid.

La popolazione italiana nel 2020 è scesa a 59 milioni e 259mila abitanti, 384mila in meno: si è persa una città grande quasi quanto Bologna. A fronte di 404mila nascite, 7 ogni mille abitanti, i morti sono stati 746mila (+18%), 13 ogni mille abitanti. Il virus è stato responsabile di 75.891 morti dirette, ma la mortalità in eccesso, cioè rispetto a quanto normalmente atteso, parla di almeno 99.000 vittime. Il Paese è sempre più vecchio, l’età media è salita a 46 anni, ma la speranza di vita, a causa dei decessi dovuti alla pandemia, è scesa di quasi 14 mesi, a 82 anni. Un Paese segnato nel profondo, dove si nasce sempre meno, e che il Covid ha isolato: il saldo tra le persone partite per l’estero (142mila) e quelle arrivate o rientrate (221mila, il 34% in meno) è stato di 79mila unità. Calano gli italiani, si ferma anche la crescita degli stranieri, stabilizzati a 5 milioni e 36mila, 4mila in meno in un anno.