Attualità

IL GIORNO DELLA MEMORIA. Napolitano si commuove: «Onore alle toghe»

martedì 10 maggio 2011
Rendere onore alla magistratura, e alle sue vittime, è premessa indispensabile per qualsiasi riforma. La giornata della memoria - istituita nell’anniversario della morte di Aldo Moro per ricordare tutte le vittime del terrorismo e delle stragi - porta la commozione - viva, lacerante - nel cuore del Palazzo. Il presidente Napolitano quando prende la parola ha il volto ancora segnato dalle testimonianze che si sono appena succedute. Squarci di umanità, e di dignità, da parte di familiari di servitori dello Stato, cui quest’anno era in particolare dedicata la cerimonia al Quirinale. Carmelina De Roma, sorella dell’agente Ciriaco, ucciso da un commando dei Nar a Casal Bernocchi, sull’Ostiense, nell’aprile 1981; Massimo, figlio di Antioco Dejana, appuntato dei carabinieri ucciso a Genova nel giugno del 1976 da una cellula iniziale delle Br; Giuseppe Cinotti, figlio di Raffaele, agente di custodia, assassinato dalle Br a Roma nell’aprile del 1981. Ricordato, dalla figlia Francesca, anche un medico: Luigi Marangoni, direttore sanitario del policlinico di Milano, ucciso dalla colonna Walter Alasia delle Br. Il presidente ascolta in prima fila, anche i video proiettati contribuiscono a tornare al clima terribile di quegli anni. Nelle prime file volti conosciuti come quelli di Agnese Moro, Benedetta Tobagi, Mario Calabresi, mescolati a familiari di vittime più anonimi.Napolitano trova modo anche per riaprire un capitolo troppo presto dimenticato: l’estradizione di Cesare Battisti. Parla di «residue mistificazioni» sulla storia del nostro terrorismo, «che pesano anche sul rapporto fra Italia e Brasile per quella vicenda rimasta incomprensibilmente sospesa».Ma è soprattutto, quest’anno, fra gli uomini dello Stato, il giorno del ricordo dei servitori della giustizia, i magistrati, il cui ricordo manda oggi «un messaggio di pace e unità», dice un altro triste "figlio di", Eugenio Occorsio (suo padre fu assassinato da Ordine Nuovo) al quale viene affidato un insolito ruolo di conduttore. Dieci le vittime in toga, «in gran parte pm» sottolinea il primo presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo, che qualifica come «manifesti indegni, frutto di disprezzo della verità e di ignoranza della storia e della realtà», quelli affissi a Milano a iniziativa del candidato Roberto Lassini. Un’iniziativa temeraria che ha contribuito a indurre il Quirinale a dare questo particolare connotato all’iniziativa. Napolitano fa sue le parole di Lupo («dissennati manifesti»), ricordando quei magistrati che «esercitarono la giurisdizione con la consapevolezza e la serenità di chi ha di fronte non nemici o avversari da sconfiggere, ma cittadini da giudicare». Riferimento chiaro, ma il Capo dello Stato inserisce subito una nota positiva, di fiducia nel futuro: «Abbiamo dimostrato di essere una democrazia capace di difendersi senza perdersi e di reagire ad attacchi e minacce gravi - e qui è il primo momento di commozione - senza snaturarsi». Poi il passaggio più applaudito sulla «consapevolezza dell’onore» che alla magistratura «deve esser reso come premessa di ogni produttivo appello alla collaborazione necessaria per le riforme necessarie». E qui scatta un applauso scrosciante nella pur compassata, ma folta, platea del salone dei Corazzieri.Poi l’ultimo passaggio rivolto ai giovani bresciani che avevano confessato tutta la loro comprensibile delusione per la recente sentenza sulla strage di Piazza della Loggia, rimasta senza colpevoli accertati. Un dovere - quello di non dimenticare - che, quando non c’è la verità processuale, diventa ancora più stringente: «Non dimenticheremo, opereremo perché l’Italia non dimentichi ma tragga insegnamenti e forza da quelle tragedie. A tutti voi l’abbraccio mio e delle istituzioni in questo giorno della Memoria...». E qui s’interrompe, commosso, sopraffatto da un applauso che copre le ultime parole: «...che è entrato ormai nel nostro cuore». Angelo PicarielloE I GIUDICI RINGRAZIANO: PAROLE INEQUIVOCABILISono passati 9 anni dal famoso triplo «resistere» di borrelliana memoria, ma il disagio dei magistrati è sempre lo stesso. E torna a palesarsi, in questa Giornata della memoria per le vittime del terrorismo segnata anche dalla nuova invettiva dal premier Berlusconi, per la richiesta rinnovata di una commissione parlamentare d’inchiesta sui pm meneghini. Torna con toni resi se possibile ancora più aspri dalla solennità dell’occasione. È Luca Palamara, il presidente dell’Anm, a dire allora «basta a inutili insulti e invettive». L’ultimo sferrato da Berlusconi fa parte di quella catena di attacchi che, ricorda Palamara, «abbiamo definiti gravi e inaccettabili, che fanno male al Paese e ai cittadini». E meno male che c’è Giorgio Napolitano con la sua difesa, con parole di tono diametralmente opposto e che, fa sapere il primo presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, «ci ripagano dall’amarezza prodotta» da un contesto che ha portato fino ai manifesti elettorali («Via le Br dalle Procure») affissi da un candidato del Pdl a Milano, Roberto Lassini. Idem per Palamara: le frasi del capo dello Stato «sono inequivoche» e «a nome dell’intera magistratura dico grazie a Napolitano».Per l’occasione torna a parlare anche Francesco Saverio Borrelli: per l’ex capo del pool di Mani pulite bollare i magistrati come «un cancro» è «una trivialità da strada».Sono parole scandite nello stesso atrio del palazzo di giustizia di Milano in cui, poche ore prima, il Cavaliere ha lanciato la sua ultima invettiva. Solo il "fondale" è cambiato: dall’udienza del processo Mills (in cui è coinvolto Berlusconi) si è passati alla cerimonia in ricordo di Alessandrini, Galli e Ambrosoli, le tre vittime scelte a Milano come simbolo di questa Giornata e le cui serigrafie erano state esposte domenica sera sulla facciata del palazzo. Borrelli ne ha approfittato per definire «schizofrenico» il comportamento di quei rappresentanti delle istituzioni, che hanno presenziato alla cerimonia del pomeriggio «senza prendere le distanze» dalle parole mattutine del Cavaliere. L’indignazione è generale. E «giusta», secondo il segretario dell’Anm, Giuseppe Cascini per il quale, anche se oggi i giudici «non corrono i rischi che hanno corso i colleghi negli anni Settanta, il linguaggio e i gesti simbolici sono fondamentali». Perciò va respinto - è ancora Lupo a parlare - ogni «indegno accostamento tra chi opera per la tutela e il ripristino della legalità e chi l’aggredisce per neutralizzarla».Il clima di scontro continua a imperversare. E di mezzo ci finisce il progetto costituzionale del ministro Alfano per la riforma della giustizia: «In quella bozza non c’è niente da salvare», ha ribadito Palamara, intervenuto alla Casa del cinema della capitale alla proiezione del cortometraggio "Eroi come noi". È sufficiente questa frase per far ripartire la sarabanda delle contro-repliche. Il primo a muoversi è l’ex ministro Sandro Bondi: «Palamara non può avversare la legittimità di una proposta di legge, dovrebbe avere più rispetto per la Costituzione». Ma pure gli avvocati penalisti non hanno gradito l’esternazione di Palamara sulla riforma: per Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione delle camere penali, sono «dichiarazioni trite e scontate, improntate a pura conservazione». In questo clima parlare di un armistizio sembra una chimera, eppure Palamara lascia uno spiraglio: «Non è mai stato offerto e, quindi, non è mai stato rifiutato», Eugenio Fatigante