LO STALLO POLITICO. Le larghe intese? Una buona medicina
Guardare al passato per trovare una soluzione alla grave situazione politica di oggi. È l’invito di Giorgio Napolitano che cita il 1976, quando un governo a guida democristiana ottenne la "non sfiducia" del Partito comunista, primo passaggio poi per il "governo delle larghe intese". «Ci volle coraggio in quella scelta inedita di larga intesa», dice il Capo dello Stato parlando al Senato a un convegno su Gerardo Chiaromonte, esponente comunista e come Napolitano della corrente "migliorista", la più aperta del partito. «Un’amicizia e un impegno comune», ricorda. E proprio ricordando, lancia un invito alla responsabilità, al dialogo, spiegano al "Colle". Contro, e qui tornano le parole del Presidente, «certe campagne, che si vorrebbero moralizzatrici, in realtà si rivelano nel loro fanatismo negatrici e distruttive della politica». Un riferimento non solo ai "grillini", ma anche a chi, nei partiti tradizionali, corre dietro a loro, spiega chi conosce bene il suo pensiero.Un doppio invito, dunque, che appare rivolto in particolare al Pd, e al suo segretario Bersani. Ma anche al Pdl, e a Silvio Berlusconi. E arriva proprio alla vigilia delle conclusioni dei comitati dei "saggi" chiamati da Napolitano a facilitare il dialogo. Conclusioni su cui, assicurano al Colle, «sicuramente sarà dato conto pubblicamente».Dunque il Presidente, come promesso, ci prova fino all’ultimo. Così insiste. Bisogna avere una «visione della politica come responsabilità cui non ci si può sottrarre, e di cui si deve rispondere in primo luogo a se stessi». Ricordando, in contrasto con quell’accusa ai "moralizzatori", la «tensione morale» di Chiaromonte che ha saputo trasmettere «visioni e valori irrinunciabili». Proprio in questo senso cita «il senso di una funzione e responsabilità nazionale democratica», che guidò Chiaromonte nella svolta del 1976. Una svolta che lo impegnò «in prima linea al fianco di Enrico Berlinguer nella scelta e nella gestione di una collaborazione di governo con la Democrazia Cristiana dopo decenni di netta opposizione. E ci volle coraggio – ecco il passaggio/invito – per quella scelta di inedita larga intesa e solidarietà, imposta da minacce e prove che per l’Italia si chiamavano inflazione e situazione finanziaria fuori controllo», senza dimenticare il terrorismo. Uno scenario che, escluso per fortuna il terrorismo, sembra ricalcato su quello di oggi. E Napolitano insiste, anche sottolineando che la fine di quella esperienza fu l’unico atto politico che lo divise dalla visione di Chiaromonte: «L’unico momento in cui non ci trovammo in piena sintonia fu quello della concitata chiusura, da parte del Pci, dell’esperienza della solidarietà nazionale. Decisione che fu foriera di un arroccamento fuorviante». E anche qui sembra parlare di oggi.Non è da meno il riferimento alla formazione politica sua e del compagno di partito. Una risposta evidente ai critici dei cosiddetti "professionisti della politica". «Venimmo presto, ancora assai giovani, riconosciuti e valorizzati nel partito e nell’agone politico. Ma partimmo, non è superfluo rammentarlo oggi, con modestia, con serietà, da un faticoso e non breve apprendistato di base».