Dopo «il pasticcio», «la bolgia». Non trova altri termini il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per descrivere il turbolento clima politico venutosi a creare dopo la vicenda delle liste. E così regala ai cronisti una similitudine pescata nel repertorio dantesco. Dopo aver partecipato, ieri mattina, a un dotto convegno sull’Unità d’Italia all’università romana di Tor Vergata, il capo dello Stato ha commentato: «È stata una splendida iniziativa ad alto livello culturale e civile anche con una comunanza di accenti. C’era un ministro della Repubblica, Frattini, un esponente storico della politica italiana come Amato e c’era un maestro quale il professor Talamo». E poi ha chiosato: «Qui si è respirata una bella aria, altrove c’è la bolgia». All’interno della "bell’aria" c’era anche un Giuliano Amato piuttosto preoccupato per la crisi dei rapporti politici e istituzionali. L’ex presidente del Consiglio, ritiratosi da qualche tempo dalla vita politica attiva, e ora presidente della Treccani. Amato ha notato che «oggi viene messo in dubbio il consolidamento del principio dell’equilibrio fra i poteri in base al quale né la grazia di Dio né la grazia della Nazione né il mandato elettorale legittimano di per sé un potere esorbitante rispetto agli altri poteri, che ricevono invece dalla Costituzione una paritaria legittimazione». E che, proprio per questa tendenza, «da una decina di anni ci sono turbolenze sui rami alti delle istituzioni»:governo contro Capo dello Stato, governo contro magistrati, Parlamento contro Corte costituzionale e così via. E, dunque – ha ammonito – le riforme di cui si parla da tanti anni non devono intaccare l’equilibrio dei poteri faticosamente raggiunto, perché «se arrivassimo a mettere in discussione l’equilibrio tra i poteri, oggi garantito da una Costituzione rigida, si metterebbe in discussione l’architrave stesso della Carta». E delle tensioni presenti oggi parlano anche i politici attivi. Il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini chiede agli opposti schieramenti di rinunciare alla prova di forza: «Noi – spiega – non siamo e non saremo in piazza perché il Paese non ha bisogno di piazze da cui trapela solamente l’odio contro l’avversario politico: il Paese ha bisogno che si risolvano i problemi». Mentre il ministro della Cultura Sandro Bondi (e membro del triumvirato che guida il Pdl) lancia l’allarme: «Si stanno ricreando le condizioni che hanno reso possibile l’attentato avvenuto di Milano lo scorso dicembre nei confronti del premier». E parla di «clima infiammato, alimentato dalle parole e dalle dichiarazioni politiche più irresponsabili e violente, soprattutto da parte di Di Pietro e di una intera generazione educata ormai da più di un decennio alla politica della demonizzazione e dell’odio nei confronti degli avversari politici». Conclusione: «Se c’è ancora qualcuno a sinistra capace di intendere e di coltivare ancora la politica batta un colpo e soprattutto faccia sentire la sua voce». Dal Pd giungono subito le repliche. Dice il capogruppo Anna Finocchiaro: «Chi le sta sparando sempre più grosse, chi continua ad accusare i magistrati, chi insiste a occultare le responsabili dei suoi uomini in questo pasticcio delle liste non è l’opposizione, ma il premier e i suoi uomini. Ma Bondi stia tranquillo, da parte nostra nessun clima aspro, vincerà l’Italia tranquilla».