TRAFFICO DI RIFIUTI. Napoli, il riciclo illegale passa dai campi rom
La denuncia di padre Domenico Pizzuti, gesuita a Scampìa, è una delle tante. Cui hanno fatto eco da una parte l’assicurazione di un intervento di risanamento da parte del Comune e dall’altra la drastica richiesta di smantellare il campo. Atteggiamenti contrastanti che però non tengono conto di un altro fatto: il popolo rom vive di spazzatura. Non importa dove si trovino, se nei campi delle periferie napoletane o nelle aree provinciali anche del Casertano, di fatto costituiscono la manovalanza preferita del sistema illegale dello smaltimento dei rifiuti industriali e pericolosi. E al tempo stesso le prime vittime. Sono innanzitutto i protagonisti del grande riutilizzo, perché in grado di recuperare fino al 90% dei rifiuti sulle strade di Poggioreale, Gianturco, Ponticelli, Scampìa. Luoghi non isolati, al centro di quartieri vasti e popolosi, prospicienti snodi viari importanti.
Qui la spazzatura che si ammassa e brucia è una costante. E se il sabato e la domenica le donne più anziane della comunità espongono in vendita su grigi teli lo scarto altrui in mercatini dell’usato più o meno improvvisati, ogni giorno giovani rom o intere famigliole gli arrivi più recenti sono dalla Romania e dalla Bulgaria - organizzati per gruppi e divisi per zone, vanno in giro a rovistare. Stracciano i sacchetti della differenziata, frugano nei cassonetti con un’asta o un bastone uncinati e poi ammucchiano la merce su carrozzini sgangherati e vecchi Ape. Alla fine Il materiale ferroso e l’alluminio (lattine) raccolti in modo autonomo e illegale ammonta al 95%. E il valore stimato va dai 5 ai 12 milioni di euro all’anno.
Di notte invece attorno ai campi rom sono i camion a scaricare i rifiuti: pneumatici, carcasse di automobili, elettrodomestici e ingombranti vari, polveri e cementi provenienti da cantieri edili, legname, plastica, indifferenziato, o altro materiale originariamente già prodotto in regime di evasione fiscale. Terminali di uno smaltimento illegale da cui i rom traggono altro materiale da rivendere e il combustibile (tossico) per alimentare le stufe domestiche. Quel che resta si brucia dietro compenso e i rom non ne fanno mistero anche se il fumo nero e denso avvelena i loror pomoni.
Da più parti giungono proposte razionali di avviare l’attesa costituzione di cooperative per il recupero dei materiali di scarto di cui facciano parte rom e disoccupati napoletani. Si darebbe soluzione a problemi complessi, anche sotto l’aspetto sanitario, sociale, economico, di ordine pubblico. Se lo Stato non riuscisse a sanare una condizione di pericolo e di illegalità, sarebbe la camorra, su pressione di qualche cittadino, a garantire ordine e sicurezza. Come qualche anno fa con la distruzione del campo rom di Ponticelli.