Il fatto. Murgia, matrimonio controvoglia. «Mi sono sposata in articulo mortis»
Lo aveva annunciato due mesi fa, nella stessa intervista con cui faceva sapere di essere malata di un cancro al quarto stadio e di avere poco tempo da vivere: «Presto mi sposerò. Sposo un uomo, ma poteva anche essere una donna», aveva affermato la scrittrice Michela Murgia. Dichiarazioni forti in tutti i sensi, che non potevano che suscitare la tempesta mediatica immediatamente seguita alle sue parole. Un’attenzione alimentata dalla stessa Murgia con i frequenti video postati da quel giorno su Instagram, una sorta di diario “personale”, sì, ma condiviso nel più ampio dei modi: con oltre cinquecentomila “follower”.
Ora è successo: michimurgia (il suo nickname sui social) qualche giorni fa ha sposato l’attore Lorenzo Terenzi e sabato ha postato su Instagram il video delle nozze civili. Lo ha sposato, fa sapere, «in articulo mortis», in punto di morte. Nel caso di imminente pericolo di vita, l’ufficiale dello stato civile può procedere alla celebrazione del matrimonio senza pubblicazione e senza l’assenso…, recita il Codice civile (regio decreto del 1942), una circostanza che suscita com-passione e rispettosa vicinanza: il tumore evidentemente avanza e Michela Murgia ha voluto accelerare. «I giornali mi hanno descritta in agonia, ma sono tutt’altro», ha dichiarato in una recente video intervista sprigionando energia e voglia di vivere, ma la malattia è imprevedibile e, come dice lei, «ormai non diamo più niente per scontato». Sfidando senza turbante la calvizie da chemio, sorride nel video mentre firma quell’atto formale e burocratico che rappresenta per Murgia il matrimonio: colonna sonora in sottofondo la canzone “Nobody’s Wife”, “Moglie di nessuno”. Non a caso.
Ancora una volta Murgia "maestra" di comunicazione e ancora una volta, puntuale, la tempesta mediatica, perché tutto diventa notizia se a comunicare è lei, soprattutto quando chiede il silenzio. Sarebbe bastato non postare nulla, per averlo, ma è lei stessa a spiegare che «il nostro vissuto personale, come quello di tutt3, oggi è più politico che mai». Impegno politico quindi diventano anche la morte, anche il cancro e queste “nozze” (le virgolette non per irriverenza ma per rendere il reale pensiero di Murgia): «Niente auguri», chiede infatti ai fan, perché «lo abbiamo fatto controvoglia», «siamo stat3 costrett3», «se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato», come appunto il matrimonio – anche civile – che «costringe a ridurre alla rappresentazione della coppia un’esperienza molto più ricca e forte, dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo».
Che sia matrimonio o unione civile, dunque, è sempre un legame tra due persone, normato, legale, che chiama i due sposi (lei direbbe contraenti) a doveri e responsabilità reciproche. Tutto il contrario dell'idea che ha Murgia per la società del futuro, dove lei forse non ci sarà più ma a chi vivrà vuole lasciare la sua «eredità simbolica», ovvero «un altro modello di relazione». Che poi è difficile da comprendere, ma proprio per questo fa notizia, come ogni sogno vago e perciò attraente, fuori dagli schemi e irrealizzabile, apparentemente irrituale e libero ma alla fin fine del tutto omologato alla fluidità oggi tanto di moda. «Il rito che avremmo voluto non esiste ancora», afferma Murgia, «ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere».
Eccolo allora il programma politico di queste “nozze controvoglia”, prima taciute e poi diffuse con l’eco più eclatante, la cui prossima mossa è già annunciata: «Tra qualche giorno nel giardino di casa daremo vita alla nostra idea di celebrazione della famiglia queer. Lì le nostre promesse non saranno quelle che siamo stat3 costrett3 a fare l’altro giorno…».
Attesa e fermento, dunque, sapientemente suscitati e gestiti: perché «giornalist3 o media vari» non saranno invitati, avverte, ma in realtà il nuovo “matrimonio” tra Michela, Lorenzo, la loro “famiglia queer” e chissà chi altri ancora (chi è interessato lo saprà quel giorno) sarà condiviso sul profilo Instagram, ovvero urbi et orbi.
Queer (cioè chi abbraccia una visione non binaria della sessualità, con la possibilità di identificarsi con entrambi i generi, con nessuno dei due o con una combinazione di entrambi) secondo Murgia è la «definizione ombrello in cui rientrano tutte le forme di relazione che vanno oltre il modello riconosciuto dalla legge italiana». E quel “3” che nei suoi post sostituisce le desinenze maschili e femminili mirerebbe, secondo lei, a sanare la sintassi da ogni presunta discriminazione. Stupisce allora che la femminista Murgia, attenta ai diritti e restìa agli eufemismi, non colga invece la tragedia reale dell’utero in affitto, da lei ingentilito in utero in affido.
Comunque la si pensi, nel suo modo estremo di vivere e sentire c’è però una suggestione umanissima, che forse è la sua vera eredità: quel continuo afflato a un mondo di cuori aperti agli altri e relazioni generose, dove «il 2 è il contrario di quello che siamo» perché nessuno deve restare fuori. Si commuove, Murgia, quando auspica un «modello di relazione in più, per chi nella vita ha dovuto combattere sentendosi sempre qualcosa in meno», e fonde il suo cuore con gli esclusi e gli zero.
Ma ciò che lei non sa è che il suo sogno già esiste, lo vediamo e tocchiamo con mano tutti i giorni nelle migliaia di famiglie aperte all’accoglienza, silenziose e rivoluzionarie, non giudicanti, la cui casa non ha porte ed è rifugio per ogni solitudine: coppie dove il 2 è la base di un numero tendente all’infinito.