Attualità

INTERVISTA. Montenegro: «Morti che pesano sulla coscienza di tutti»

Alessandra Turrisi giovedì 7 aprile 2011
«Sono morti che devono pesare sulla coscienza di tutti». Monsignor Francesco Montenegro è arcivescovo di Agrigento e da mesi ormai è un pastore di frontiera, perché un pezzo della sua diocesi è l’ultimo lembo dell’Europa nel Mediterraneo, primo approdo di chi fugge dall’Africa e dall’Asia, scoglio da cui ricominciare una nuova vita. In piena emergenza sbarchi a Lampedusa, Montenegro ha chiesto alle istituzioni senso di responsabilità nei confronti dei migranti e della popolazione dell’isola, ha scritto al presidente della Repubblica, ha visitato più volte la comunità di Lampedusa e annunciato la sua veglia pasquale sull’isola. Proprio in questi giorni ha raccontato ai suoi confratelli vescovi siciliani le condizioni disumane di vita dei migranti e oggi si trova a pregare per nuovi morti e dispersi nel mare, in qualche modo drammaticamente annunciati.Eccellenza, quando ha saputo della nuova tragedia che si era consumata nel Canale di Sicilia, cosa ha pensato?Che si tratta di morti che devono pesare sulla coscienza di tutti, anche su quella dei cristiani, delle persone perbene, di chi non vuole che questa gente arrivi in Europa, di chi non li accoglie. Di sicuro la colpa di questo naufragio non è del mare. Sono morti che graffiano, che lasciano una ferita profonda.I soccorritori hanno raccontato di aver visto capovolgere il barcone davanti ai loro occhi. Non hanno potuto fare niente per salvarli. Come potranno affrontare questo dolore, questo senso di impotenza?Il mio pensiero è andato subito a loro, ai marinai, ai ragazzi della guardia costiera. Mi sono subito domandato: e se fosse capitato a me di andare ad aiutare qualcuno che poi muore senza che io possa intervenire? Tutte le volte che li ho incontrati a Lampedusa ho visto uomini, non divise. Sono padri di famiglia, come quelli che sono morti in mare. Queste sono esperienze che non si possono dimenticare, che lasciano una traccia indelebile.Con quale spirito lavorano lì, si occupano dei soccorsi di gente disperata?Chi lavora a Lampedusa, oltre alla professionalità, porta con sé una grande umanità. Fanno di tutto per salvare quelle vite. Ho visto grande tristezza nella gente quando si parla di queste tragedie, che sono sconfitte per tutti.Per questo la Chiesa di Lampedusa ha deciso di realizzare una grande croce con frammenti di legno dei barconi della speranza?C’è anche un mio Pastorale realizzato con il legno dei barconi. Sono segni visibili di come queste drammatiche esperienze hanno segnato la nostra vita di uomini e di cristiani.Nel comunicato finale della Conferenza episcopale siciliana chiedete che «l’Europa si impegni a realizzare autentiche politiche di cooperazione che potranno assicurare a tutti sviluppo e pace duratura». Non bastano i rimpatri?Per quanto sembrano vincenti, molte soluzioni che vengono trovate sono delle sconfitte. L’Occidente deve liberarsi dall’idea della colonizzazione e aiutare i popoli dell’Africa. Deve mettere in campo veri progetti di cooperazione internazionale, che possano dare risposte alla gente nei loro Paesi. Altrimenti qualsiasi tentativo sarà inutile.