Dopo Palermo. I ragazzi e le trappole sui social, ecco cosa possono fare i genitori
La sede di TikTok a Culver City, Los Angeles
Antonella «è rimasta vittima, in fondo, della sua ingenuità». Lasciano il segno le parole di Salvatore Requirez, direttore sanitario dell’Ospedale dei Bambini di Palermo. Le inchieste avviate dalla Procura ordinaria e da quella dei minori accerteranno se davvero la piccola si era lasciata attirare in una assurda sfida su TikTok. In ogni caso, questa tragedia impone agli adulti di interrogarsi sulla propria responsabilità di educatori.
Alziamo l’età. A 9, 10 anni i bambini non hanno ancora la maturità per possedere uno smartphone con accesso a Internet e alle varie piattaforme condivise. Per iscriversi ai social la legge prescrive che bisogna avere 13 anni. Ebbene, che sia questa l’età minima per dotare i figli di un cellulare di proprietà. Prima di allora, è difficile riuscire a gestire l’impatto emotivo di quanto si vede su quel piccolo schermo. Ricominciamo a prendere sul serio la questione dell’età e proteggiamo i nostri figli da qualcosa che non sono in grado di fronteggiare.
Non lasciamoli soli. «Faremmo entrare uno sconosciuto in casa?», si è chiesto ieri don Fortunato Di Noto, fondatore dell’associazione Meter che da 32 anni scandaglia la rete a caccia di orchi. «Allora, perché permettiamo ai nostri figli di navigare in solitudine incontrando migliaia di sconosciuti in tutto il mondo?». Non è facile, le occupazioni quotidiane risucchiano il tempo: ma una padre e una madre devono saper essere presenti quando occorre. Non lasciamo che si isolino con il cellulare in mano. E poi: condividiamo con loro attività «buone»: video divertenti, attività positive. Lasciamoci coinvolgere per non diventare estranei.
Diamo il buon esempio. Secondo il Global Digital Report del 2019, gli italiani trascorrono quotidianamente in media un’ora e 46 minuti sui social. Se i figli ci vedono con la testa sempre china sullo smartphone saremo poco credibili quando vorremo limitarne a loro l’uso. Occorre poi trovare dei momenti "social-free": l’ora dei pasti, dopo cena. La notte i cellulari di tutti andrebbero caricati fuori dalle camere da letto. E poi: una grandissima parte dei video che circolano su Tik Tok ritraggono genitori insieme ai figli, balletti e moine tutto compreso. Diamoci un taglio per primi noi adulti.
Proteggiamoli (anche con un controllo consapevole). Il genitore può offrire fiducia al figlio. Ma l’educazione è fatta di esempio, di fiducia e anche di un garbato controllo. La stessa tecnologia può venire in soccorso: possono apparire procedure complicate, in parte lo sono davvero, ma occorre che i genitori facciano uno sforzo, si aggiornino e imparino a sfruttarne le potenzialità. Per controllare e/o limitare l’accesso ai siti inadeguati molto comune è il parental control o filtro famiglia. Questo sistema (che può essere costituito da un programma o un’applicazione o un’impostazione) permette ai genitore di monitorare o bloccare l’accesso a determinate attività da parte del figlio (siti pornografici, immagini violente o pagine con parole chiave) e anche di impostare il tempo di utilizzo di computer, tv, smartphone e tablet. Tutti i sistemi operativi, da Windows ad Apple fino a Linux, offrono strumenti di questo tipo. Se sul Pc è installato Windows 10 si può sfruttare il parental control della stessa Microsoft. Se si ha un sistema Android e un account Google, molto utile sarà Google Family Link che propone gratuitamente un ottimo ventaglio di opzioni come la geolocalizzazione dei vari dispositivi in uso dal figlio (telefonino, tablet o Pc), l’impostazione di limiti temporali di utilizzo, il blocco da remoto, l’approvazione delle applicazioni... Anche i dispositivi Apple permettono un controllo molto completo grazie al filtro famiglia presente nel sistema operativo iOS. Esistono strumenti di controllo ancora più sofisticati, ma almeno quelli che abbiamo elencato sono essenziali. Nessuno di questi sistemi, tuttavia, è abbastanza efficace per tenere i figli completamente al sicuro.
La tecnologia non basta. Sarebbe molto utile un supercomputer che facesse sparire il male da Internet, almeno agli occhi dei minori. Ma al momento nessun algoritmo (come hanno ammesso i gestori dei social) è in grado di fermare il male in maniera soddisfacente. Per questo è indispensabile la collaborazione di utenti che segnalino violazioni e contenuti inappropriati. Lo sa bene anche YouTube Kids, destinato ai minori di 12 anni, al cui interno spesso sono stati trovati contenuti inaccettabili, creati cambiando l’audio di cartoni animati famosi.
Un aiuto dalla politica. Se i ragazzi non devono mai esser lasciati soli nel digitale, dobbiamo avere anche il coraggio di chiedere alla politica di non lasciare soli i genitori. Ieri numerosi parlamentari hanno promesso iniziative di legge per limitare l’accesso al web ai più piccoli o per esigere più responsabilità da parte delle piattaforme sui contenuti che veicolano. Ma per ora tutto il lavoro sembra lasciato nelle mani del Garante della privacy, che in dicembre ha aperto un procedimento nei confronti di TikTok per scarsa attenzione ai dati dei minori. Risultato (importante): dal 13 gennaio tutti i profili su TikTok di utenti con età compresa tra 13 e 15 anni sono diventati di default "privati". Cioè, non saranno più visibili a chiunque, ma solo agli amici. E oggi, con una procedura d’urgenza, lo stesso Garante ha disposto nei confronti della piattaforma il blocco immediato dell’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica. Risale invece al 2015 la richiesta dell’Europa agli Stati membri di (ri)decidere l’età minima degli iscritti ai social, con la possibilità di elevarla ai 16 anni. I vari governi avevano tempo tre anni per scegliere, ma da noi nessuno ne ha discusso. E così il limite è rimasto quello americano, cioè i 13 anni.
(Hanno collaborato Stefania Garassini, Francesco Ognibene, Gigio Rancilio e Alessandro Saccomandi)