L'ambasciatore Attanasio ucciso. «In Congo fu un atto politico contro l’Italia»
Un selfie dell'ambasciatore Luca Attanasio, ucciso in un agguato in Congo quasi un anno fa
«La morte di mio figlio non può essere letta come un semplice fatto di cronaca. Luca era un ambasciatore e la sua uccisione è stata un atto politico contro lo Stato italiano». Salvatore Attanasio custodisce da quasi un anno la memoria del massacro avvenuto in Congo. Non ha mai creduto alle notizie sugli arresti dei presunti responsabili effettuati a Goma e ha sempre individuato nel comportamento del Pam, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, la causa di quanto è accaduto. L’inchiesta della Procura di Roma è finalmente «un primo passo verso la verità – dice –. Ora ne serviranno altri».
Quali?
Mio figlio si trovava nel nord Kivu, quel giorno, su invito del Pam. La lettera di viaggio per quella missione era stata firmata dall’Onu, i voli aerei su cui ha viaggiato erano dell’Onu. A loro spettava di garantire il massimo della sicurezza. Perché non è avvenuto? Perché nel documento in cui si presentava la missione, il nome di mio figlio non era indicato? Perché mancavano auto blindate per garantire maggiore protezione? Sono queste le domande a cui non abbiamo mai avuto risposta in questi mesi. E oltre all’alterazione delle lettere di viaggio, resta l’incredibile decisione dei testimoni oculari di rifiutarsi di parlare, trincerandosi dietro una presunta immunità diplomatica.
Si aspettava questa svolta?
Assolutamente sì. Mi sarei stupito del contrario. Ripeto: opporre l’immunità di fronte a un triplice omicidio è gravissimo. Ora per arrivare alla verità è necessario che le indagini vadano avanti: è necessario interrogare questi signori per poter ricostruire l’esatta dinamica dei fatti. Serve maggiore pressione dallo Stato e anche dall’Europa, di cui l’Italia è Paese fondatore. Ci sono stati troppi tentativi di depistaggi, troppe omissioni. Si arrivi alla verità, perché senza verità non ci sarà mai giustizia.
Quali ricadute sono possibili, dal punto di vista diplomatico?
Non sta a me dirlo. Durante il G20, Mattarella e Draghi hanno incontrato il presidente del Congo e questo è stato un segnale importante. A Strasburgo, una mozione firmata da 48 europarlamentari italiani ha chiesto un impegno chiaro all’Unione, perché si impegni a ottenere chiarezza sulla vicenda. Penso che ottenere la massima trasparenza dal Programma alimentare sia il minimo, anche vincolando i fondi destinati alla necessaria collaborazione nell’inchiesta.
Il capo dello Stato, nel consegnare alla vostra presenza l’onorificenza di Gran Croce d’Onore dell’Ordine della Stella d’Italia alla memoria di Luca, ne parlò come di un emblema e un simbolo per lo stile del diplomatico.
Luca faceva e non diceva, non amava il clamore. Interpretava la diplomazia come un servizio alla comunità e ricordava spesso che l’ambasciata, la sua ambasciata, doveva essere la casa degli italiani. Per questo, amava i medici e i missionari. In questi mesi abbiamo ricevuto testimonianze e ricordi del suo impegno a tutte le latitudini, dall’Africa agli Stati Uniti. Speriamo che il suo sacrificio non sia vano.