Coronavirus. Monti: «Anche questa volta l'Italia si salverà da sé. Lagarde? Imprudente»
Mario Monti
Anche Mario Monti sta a casa. Come tutti gli italiani di questi tempi. Nella sua abitazione di Milano, dove lo raggiungiamo al telefono: «Questo periodo pesa, come a tutti. Esco quasi mai. Sono preoccupato, come tutti – confida il senatore a vita ed ex presidente del Consiglio nei momenti 'caldi' dell’altra grande crisi, quella finanziaria del 2011/12 –. Ma, per vedere anche il lato positivo delle cose, ho molto più tempo per riflettere. E, in questi ultimi giorni, per spiegare a tanti altri Paesi, attraverso delle interviste, un’Italia che è stata certamente più sfortunata di altri ma che, per una volta, ha agito con più prontezza, più unità, più disciplina di tante altre nazioni. Non capita tutti i giorni. Ma, nella sventura, è bello».
Presidente Monti, la cancelliera Angela Merkel ha detto che viviamo una situazione «peggiore» dell’ultima crisi finanziaria. È così?
È peggiore perché una crisi della salute pubblica è di per sé più grave. Ma oggi la capacità del mondo e dell’Europa di combattere una crisi finanziaria, inevitabile ricaduta della crisi da pandemia, è maggiore di quella che era nel 2008-2012.
Cosa ha pensato a gennaio, quando da Wuhan sono giunte le prime notizie?
Ero convinto che l’epidemia si sarebbe diffusa. Non pensavo però, francamente, che potesse diventare in brevissimo tempo una pandemia così grave, né soprattutto che l’Italia sarebbe stata colpita prima e più, almeno per ora, di tutti gli altri Paesi occidentali.
Il presidente Mattarella ha reagito giovedì con toni duri ai 'non annunci' di Christine Lagarde, poi corretti a posteriori. Come definirebbe l’intervento della presidente della Bce?
Lagarde, di solito abile comunicatrice, avrebbe certo dovuto essere più prudente, dato il panico da coronavirus. Ma dietro questo errore, giustamente criticato, si pongono due problemi reali, sul ruolo stesso delle banche centrali.
Quali sono?
Il punto è: vogliamo che le banche decidano sempre e comunque in linea con quanto i mercati si aspettano da loro? La mia risposta è no: agendo così un banchiere centrale si rende popolare, viene considerato un mago, come per esempio avvenne ad Alan Greenspan, presidente della Fed dal 1987 al 2006. Ma la sua abbondante e prolungata espansione monetaria è poi stata considerata una causa, forse la maggiore, della crisi finanziaria degli anni immediatamente successivi.
Cosa devono fare i governatori?
Le dico ancora: vogliamo che sempre e comunque 'coprano' o mascherino il più possibile, tenendo bassissimi i tassi e ingente la liquidità, i danni recati da governi che spesso, per non essere impopolari, lasciano correre il disavanzo pubblico anche negli anni buoni e non affrontano le riforme che renderebbero le loro economie più produttive e più eque ? La mia risposta è no. Rispondere sì vorrebbe dire auspicare il trapianto, oggi in Europa, di un modello simile a quello vigente in Italia prima del 'divorzio' che nel 1981 liberò la Banca d’Italia dall’obbligo di assicurare sempre l’assorbimento dei titoli di Stato. Quando la banca centrale rivolgeva alla politica e alle parti sociali solenni ammonimenti; ma poi, quando questi non venivano osservati, e cioè quasi sempre, chinava il capo e li finanziava a pie’ di lista. Del resto, credo che la stagione disinvolta delle uscite sui balconi di Palazzo Chigi nel 2018-2019, per annunciare la fine della povertà e dei vincoli di bilancio, non sarebbe neppure iniziata, se il Quantitative Easing della Bce, nato nel 2015, non avesse finito per spegnere ad un certo punto il campanello d’allarme costituito in altre fasi dai tassi di interesse e dallo spread.
Sono troppo deboli le misure annunciate dalla Bce?
Non ho questa impressione. Del resto potranno essere intensificate anche a breve, data la grande imprevedibilità del contesto, sanitario ed economico. Peccato che quella infelice comunicazione abbia molto attenuato l’impatto distensivo delle misure adottate.
Conte e Gualtieri hanno annunciato per ora una manovra da 25 miliardi. A quanto si arriverà, alla fine?
Sinceramente, non lo so. Vorrei sottolineare che, in questa occasione, ho molto apprezzato il comportamento del presidente Conte, del ministro Speranza e del governo, che hanno affrontato una situazione difficilissima con freddezza e fermezza. Così come il ministro Gualtieri ha mostrato, in Italia e verso l’Europa, notevole padronanza per quanto riguarda gli strumenti economici per attenuare nella misura possibile le conseguenze terribili della pandemia. E io per primo, così come ho criticato i disavanzi eccessivi in fasi in cui non erano giustificati, sono convinto che ora un impegno dello Stato anche ben al di là dei limiti è non solo giustificato, ma necessario.
Lei lancia l’idea dei Buoni per la salute pubblica. Quanto potrebbero raccogliere?
Sì. Conte e Gualtieri potrebbero considerare, per un progetto finalizzato alla salute pubblica e avvalendosi della competenza di Bankitalia e Tesoro, forme di finanziamento che non si traducano semplicemente in oneri aggiuntivi per le future generazioni, ma facciano appello al rinnovato spirito civico e al ritrovato senso di appartenenza che oggi gli italiani dimostrano, che facciano leva sulle aperture che vengono dall’Europa. Si potrebbe pensare all’emissione, per un importo molto rilevante, di un prestito alla Repubblica italiana denominato 'Investi nella Salute dell’Italia' o 'Buoni per la Salute Pubblica' o ' Health of Italy Bonds' per il mercato internazionale.
Con quali caratteristiche?
Un’emissione a lungo termine o irredimibile, ma negoziabile nel mercato secondario; a tasso di interesse fisso e molto basso (oggi anche un tasso zero potrebbe essere interessante, se l’inondazione di liquidità che verrà creata per contrastare gli effetti recessivi della pandemia farà scendere ulteriormente i tassi di interesse in territorio negativo), alle condizioni fiscali più favorevoli, compresa l’esenzione da qualsiasi futura imposizione.
Ha altre idee per il futuro rilancio dell’economia?
Dopo, il problema chiave continuerà ad essere quello di prima: come far riprendere all’economia italiana un percorso di crescita. Ma spero e credo che il Paese, dopo questa terribile prova, saprà rialzarsi davvero con una mentalità nuova.
La Ue va verso la sospensione del Patto di stabilità. Ma sono tornate le critiche all’Europa, debole o assente. In particolare al modello intergovernativo. È la vera causa dei problemi?
Non di tutti, ma di molti dei problemi gravi che l’Europa ha. Il vizio, purtroppo, sta nel manico. Anni fa si sono accresciuti i poteri del Consiglio Europeo, pensando che i capi dei governi nazionali potessero dare un impulso decisivo alla costruzione della casa europea. Purtroppo nella grande maggioranza dei casi essi partecipano al Consiglio Europeo parlando dell’interesse dell’Europa, ma in realtà curandosi soprattutto degli interessi nazionali. Anzi, sempre più spesso gli 'interessi nazionali', invocati con una parvenza di dignità, sono in realtà interessi elettorali.
L’Italia uscirà da questa situazione in recessione e con un debito pubblico ancora più alto. Pensa che il resto d’Europa tema – un domani - di dover salvare l’Italia?
Sono sempre stato convinto che l’Italia ha bisogno di una Ue che funzioni bene, e può fare molto perché questo accada. Ma l’Italia è in grado di salvarsi da sé. L’abbiamo dimostrato da ultimo nel 2011-2012. Sono stati il senso di responsabilità, per una volta, di quasi tutti i partiti italiani e la consapevolezza dei cittadini italiani, che hanno consentito all’Italia di evitare il 'contagio' dalla Grecia e da altri Paesi in crisi dell’eurozona. L’Italia non ha chiesto aiuti. Anzi, ha aiutato l’Eurozona a darsi una migliore governance. Agendo con la Francia e la Spagna, l’Italia ha liberato la Bce dalla camicia di forza con cui la Germania e i 'falchi del Nord' ne avevano compresso il potenziale fino al giugno del 2012. Potenziale che, dopo di allora, la Bce con Draghi ha utilizzato al meglio, con beneficio – ma solo da quel momento – anche per l’Italia.