29 settembre 1944. A Monte Sole, 80 anni dopo l'eccidio, si costruisce la pace
I nomi delle vittime di Monte Sole, Comune per Comune, negli striscioni appesi
Il tempo per costruire la pace è un tempo lungo, che non segue i ritmi degli uomini. I sopravvissuti di Monte Sole, che oggi si contano sulle dita di una mano, lo sanno bene: ci hanno messo anni per elaborare l’orrore di quel giorno, il 29 settembre 1944, in cui la furia nazista si consumò causando 770 morti. Persero la vita famiglie intere, bimbi appena nati, lavoratori, donne, sacerdoti. «Chi si è salvato per tanto tempo non ha parlato nel timore di non riuscire a farsi credere. La gente del posto non aveva le parole per spiegare quel che era accaduto» racconta padre Paolo Barabino, monaco, superiore della Piccola Famiglia dell’Annunziata che continua ad abitare quei luoghi. A Monte Sole c’è la comunità monastica nata su ispirazione di Giuseppe Dossetti, che è insieme spazio di preghiera per la Chiesa e di memoria per la nostra Repubblica. Qui si ritroveranno il capo dello Stato, Sergio Mattarella, e il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier. Sarà l’ultima tappa di un viaggio di andata e ritorno che questa settimana ha rinsaldato l’amicizia tra i due Paesi, ma è proprio la cornice scelta per quest’ultimo incontro ufficiale a rendere l’evento speciale. In questa terra si è consumata una strage divenuta per il nostro Paese il simbolo del male compiuto nella seconda guerra mondiale per opera del nazifascismo. Ventidue anni fa, un altro capo di Stato tedesco, Johannes Rau, incontrando Carlo Azeglio Ciampi, confessò per la prima volta pubblicamente di «provare un profondo senso di dolore e vergogna» per quanto era stato compiuto dalla Germania.
I laboratori per educare
Proprio nel 2002, anno di quell’incontro, nacque a Monte Sole l’idea di una scuola di pace. «La spinta della società civile fu decisiva» racconta Elena Monicelli, coordinatrice del progetto che propone «laboratori a cittadini dai 5 ai 99 anni. Educare alla non violenza e alla cittadinanza, facendo memoria di questi luoghi e insieme svelando lo spirito profondo della nostra Costituzione è la nostra missione» spiega. Per questo, è fondamentale che la testimonianza diretta di quell’eccidio fatta da chi c’è ancora e da chi, nei decenni successivi, ne ha custodito il ricordo, diventi voce profetica anche oggi. «Questo luogo piange se nessuno lo viene a trovare, mi disse una volta un bimbo di seconda elementare. È proprio così. Bisogna ascoltare Monte Sole e il suo legame con la storia per far risuonare ancora dentro di noi le domande più urgenti: come è stato possibile? Da dove ha avuto origine tutta quella violenza?». Sono interrogativi che hanno attraversato il secolo scorso e che sono arrivati fino a oggi.
L’abisso di una terza guerra mondiale che già si combatte a pezzi non è più uno scenario remoto e, per usare le parole di Dossetti, c’è necessità di una «coscienza vigile», capace di leggere gli eventi in modo critico, proprio perché l’umanità intera ha già visto il dolore provocato dai conflitti e dalle armi. «Serve una lotta spirituale contro il male – sottolinea padre Barabino – che sia insieme frutto di una scelta di fede, per chi crede, e percorso di riflessione interiore. Adesso come allora, dobbiamo aiutare le persone e l’opinione pubblica a pensare e a combattere la propaganda, che sembra imporre solo parole d’ordine improntate all’odio. Occorre invece rispondere alla sfiducia imperante, anche verso le istituzioni, dando spazio al bisogno di pace che c’è nelle nuove generazioni». È una domanda, quella di pace, che arriva nella preghiera quotidiana di questi luoghi e si traduce anche nell’impegno concreto a essere testimoni di dialogo nelle terre divise dai conflitti. «Siamo presenti con una nostra piccola comunità in Medioriente, nei territori occupati, a sette chilometri da Ramallah, e in Giordania». ricorda il superiore della Piccola Famiglia dell’Annunziata.
La difesa dell’articolo 11
«Se c’è un tempo per la pace, è proprio questo» riprende a un certo punto Elena Monicelli. Lo dice pensando all’esperienza dei Comitati Dossetti per la Costituzione, «nati proprio quando c’era il rischio che si stravolgesse la Carta. Perciò, ora è il momento opportuno per avere lo sguardo lungo». Adesso che le vicende sembrano precipitare, con il ritorno dell’incubo nucleare evocato da Vladimir Putin e con l’offensiva di Israele sul Libano, mentre Gaza continua a essere sotto assedio, proprio adesso, secondo la responsabile della scuola di pace di Monte Sole, «è necessario ascoltare il grido dei nostri amici italiani e tedeschi, israeliani e palestinesi. Chiedono di non essere lasciati soli, vogliono camminare insieme, anche sotto le bombe». È questo il segreto di questo luogo: proprio il lavoro sulla comunità fa sì che la testimonianza qui non sia solo personale, ma condivisa. «Religiosità e spiritualità sono un collante essenziale» che accomuna laici e sacerdoti, persone consacrate e uomini e donne di buona volontà. Per questo, l’attesa di oggi, nei confronti di Mattarella e di Steinmeier, è molto alta. «Ci aspettiamo un pronunciamento molto deciso contro la guerra, perché come direbbe Dossetti siamo nel pieno della notte» spiega padre Barabino.
La lampada per chi si muove nel buio delle bombe resta l’articolo 11 della Costituzione, principio irrinunciabile. «Il ripudio della guerra non è solo rifiuto, non è soltanto dire “no”. È rigetto perché sei altro da me» osserva Monicelli. Se il primo passo da fare è dunque uscire dalla spirale perversa del muro contro muro, della corsa sfrenata all’investimento militare, il cessate il fuoco su tutti i fronti bellici deve essere anche il frutto di un ripensamento più profondo, secondo chi vive la quotidianità di Monte Sole: no alla guerra sempre, senza se e senza ma.
Sacrifici e testimonianze
Cinque sacerdoti e religiosi persero la vita stando accanto alla popolazione a Monte Sole. Don Giovanni Fornasini, medaglia d’oro al valore militare, fu ucciso mentre seppelliva i corpi delle vittime degli eccidi dei giorni precedenti. Con lui uniti nel martirio, ci sono don Ubaldo Marchioni, ucciso insieme a tre anziani nell’irruzione delle truppe tedesche nella chiesa di Santa Maria Assunta, e Don Ferdinando Casagrande, molto probabilmente ucciso dopo essere uscito dal rifugio per seppellire i morti e cercare cibo. Poi vanno ricordati Don Elia Comini e padre Martino Capelli, che hanno vissuto il sacrificio estremo insieme. Gli eccidi perpetrati in quella settimana assunsero poi il nome di “Strage di Marzabotto” anche se furono consumati nei numerosi paesi e frazioni attorno a questo Comune. Si trattò del più grave crimine di guerra contro l’umanità, compiuto verso la popolazione civile: morirono tantissime persone, abbattute senza senso, con la sola colpa di abitare quel territorio. «Per questo - riprende Elena Monicelli - la testimonianza dei superstiti è diventata autentica domanda di pace». Nei giorni scorsi alla scuola di cui è coordinatrice, è stato presentato un libro dedicato ad Antonietta Benni, donna consacrata, maestra giovanissima, sopravvissuta all’eccidio, che scelse di vivere la sua consacrazione in mezzo alla gente, decidendo di tornare nei luoghi del dolore e del trauma più profondo. «La sua vita è stata un dono prezioso, perché ha permesso a questa comunità di non sfaldarsi sotto il peso del rancore, ma di rinascere parlando con le persone e lavorando con loro». È quel che richiede il tempo lungo della pace: seminare il bene con fiducia, sapendo che è più forte dell’odio e che alla fine darà frutto.