Intervista. Moavero Milanesi: «Il sovranismo è divisivo»
Enzo Moavero Milanesi (Ansa)
«Abbiamo dimostrato che i conti italiani sono in ordine». Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, «dopo aver sentito troppe parole dure» si concede volentieri all’«abbraccio del Meeting». Boccia l’antieuropeismo e non rinnega il lavoro svolto. Per il futuro pensa positivo: «L’Italia è solida e andrà avanti, al di là di chi sia al comando».
Ma se l’aspettava una chiusura così rapida, e ruvida?
Le esperienze politiche hanno una loro durata, più o meno lunga. Ma quando ci sono divergenze e viene a mancare la volontà di ricomposizione, inevitabilmente c’è la rottura. D’altronde, in Italia, nella storia repubblicana e ancor prima nella storia unitaria, abbiamo avuto così tanti cambi di governo da non stupirci.
Fra poco c’è il G7, a Biarritz. Che immagine darà il nostro Paese con la crisi?
È fondamentale mantenere una "direzione Paese". L’Italia è un Paese vitale, una realtà forte, con grandi prospettive. Naturalmente se ben guidato la può accentuare, ma tutto sommato è in grado di fare il suo percorso quasi a prescindere da chi la guida.
Ma in un’Europa che, tutta insieme, rischia di rimanere ai margini degli equilibri globali, non è anti-storica una politica sovranista?
La risposta alla globalizzazione non può che essere una Ue più efficiente: il rischio dei sovranismi (una volta li chiamavamo nazionalismi) è divisivo. Nel 2040 nessun Paese europeo, probabilmente, farà più parte, da solo, delle prime 7 economie del mondo, fra le quali 20 anni fa figuravano ben 4 Paesi europei. "Europa" vuol dire anche gestione comune dei flussi migratori: le attuali regole di Dublino causano invece divisioni e trionfano gli egoismi.
Guardando ai risultati ottenuti, il suo ruolo nelle procedure scampate è stato inversamente proporzionale alle sue dichiarazioni in materia...
Il lavoro in questi mesi è stato intenso. Fatto anche, è vero, di silenzi. Perché "diplomazia" significa rapporti, relazioni, costruzione di credibilità, attività che non si possono accompagnare a dichiarazioni continue. In politica i silenzi non sempre sono capiti, ma un piccolo vantaggio che ho avuto, nell’essere un ministro cosiddetto "tecnico" e indipendente, è che non dovevo coltivare un consenso elettorale immediato.
A proposito del futuro, c’è da nominare un commissario europeo. Ma il 26 agosto incombe.
La presidente Von Der Leyen ha indicato questa data, non si tratta di un termine perentorio: si dovrà ora vedere l’evoluzione della crisi di governo, auspicando sia veloce.
C’è chi parla di governo "Ursula". Dopo un accordo fra due sole forze politiche che non ha funzionato, la via d’uscita non può essere un programma più ristretto con una base parlamentare più larga?
Può essere. Ho vissuto due esperienze di governo in cui il sostegno parlamentare era molto ampio, di larghe intese, come si dice. Ma in primo luogo, per un governo, occorre convergenza sul programma.
Lei però non ha nemmeno escluso un ritorno all’alleanza precedente.
In una fase come questa, in teoria, non si può escludere nulla. Certo, dopo i toni di questi giorni appare difficile. Se poi non sarà possibile trovare una maggioranza, la Costituzione prevede il ritorno al voto.
Ma le scadenze impongono di fare in fretta.
Certo, lo dobbiamo ai cittadini. E poi c’è il calendario per l’esame della legge di bilancio, che vincola tutti gli Stati Ue ad approvarla entro fine anno. Tuttavia, queste scadenze non possono del tutto condizionare le dinamiche democratiche di un Paese. Anche in altri Stati europei è accaduto di votare in autunno.
Ma per noi incombe il rischio dell’aumento Iva. Lei ritiene che avete messo le basi per evitare anche la clausola di salvaguardia?
Pochi mesi fa si ventilò una procedura di infrazione causata dal livello del debito pubblico, che abbiamo evitato sulla base di dati economici reali. E questo è un punto di partenza molto importante.