Umanizzare il carcere con le misure alternative non solo è giusto, ma conviene. Riduce il sovraffollamento, abbassa i costi, abbatte la recidiva e - addirittura - crea occupazione. Far scontare fuori dalla cella la pena ad altri 10 mila detenuti, ad esempio, farebbe risparmiare 210 milioni l’anno creando 1.500 posti di lavoro. Serve un salto culturale. Ma anche normativo, per eliminare gli ostacoli che impediscono agli oltre 10mila volontari attivi nelle carceri di impegnarsi anche nell’esecuzione penale esterna: oggi sono 102 in tutta Italia. A illustrare l’efficacia delle misure alternative – dati alla mano – è la ricerca, su dati del Dap, del Centro nazionale per il volontariato (Cnv), in collaborazione con la Fondazione volontariato e partecipazione. Il gruppo di lavoro 'La certezza del recupero' è coordinato dal Cnv con Seac e Conferenza nazionale volontariato e giustizia. A introdurre la presentazione alla Camera è il presidente del Cnv e deputato del Pd Edoardo Patriarca. Il dossier ricorda che al 30 novembre 2014 i detenuti in cella erano 54.428, un terzo stranieri (33,4%), un terzo in attesa di giudizio. Le presenze in eccesso oggi sono 5.119, un 10,4% di troppo. Apparentemente non moltissimi: il problema è la disomogeneità sul territorio e all’interno degli istituti. Così se Trentino-Alto Adige (39,7%), Sardegna (-24) e Valle D’Aosta (-20) hanno più posti che detenuti, altre regioni sono oltre i limiti come Puglia (+43%), Lombardia (+29%), Friuli Venezia Giulia e Veneto (+28%), Campania (+21%). Non solo: tra i 202 istituti, 80 hanno meno detenuti di quanti ne potrebbero ospitare, ma 44 (il 22%) hanno un grave sovraffollamento (+60%). Delle misure alternative oggi usufruiscono 31.045 detenuti: affidamento in prova, semilibertà, domiciliari, lavori di pubblica utilità, libertà vigilata. A goderne sono soprattutto gli italiani, visto che molti stranieri non hanno un domicilio. Un dato spesso utilizzato strumentalmente da chi sostiene la 'propensione etnica al crimine' degli immigrati. Di certo il 'popolo recluso' costa molto allo Stato: 124 euro al giorno per detenuto, circa 3 miliardi l’anno. L’82% del costo giornaliero è rappresentato da spese fisse per il personale. La scelta delle misure alternative inizialmente – per i primi 5.723 detenuti 'in uscita' – non comporterebbe risparmi per lo Stato, perché non incide sui costi fissi e prevede il semplice trasferimento di una quota di 30 euro giornalieri per il mantenimento dal carcere alla struttura alternativa. Diverso il discorso quando si arrivasse a quota 10mila: il dossier calcola un risparmio netto pari a 577 mila euro al giorno, oltre 210 milioni l’anno, grazie alla chiusura di alcuni penitenziari. Più misure alternative equivalgono a più personale nel privato sociale: trasferire 10mila detenuti attiverebbe 1.500 posti di lavoro. Ma ci sono realtà pronte a condividere il carico esterno? Secondo la ricerca le organizzazioni del volontariato già pronte ad accogliere detenuti per il reinserimento sociale sono 1.471, altre 1.932 quelle disponibili. Prima di tutto però c’è da sciogliere il nodo dell’articolo 78 dell’ordinamento penitenziario, dice Guido Chiaretti di Sesta Opera, molto restrittivo sull’impiego dei volontari alle misure alternative. Un ostacolo ancora più assurdo «a fronte della ristrettezza di risorse dell’Ufficio esecuzione penale esterna per cui il Ministero spende solo 500 mila euro l’anno: sono i dirigente Uepe per primi a chiederci di alzare la voce». «Ci illudiamo che il carcere dia sicurezza – dice Giorgio Pieri della Papa Giovanni XXIII – ma ogni giorno entrano ed escono circa mille detenuti: per loro la recidiva è del 75%, tra quelli che accogliamo in comunità è del 7%. Allora cosa conviene finanziare?».