Intervista. Mirabelli: «La nozione di Paese insicuro va calibrata sulla persona»
Roma Per il presidente emerito della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli, occorre mettere ordine e raffreddare gli animi attorno allo scontro tra governo e magistratura seguito alla decisione del Tribunale di Roma sul rimpatrio di 12 migranti trasportati in Albania e poi ricondotti in Italia.
Presidente, siamo di fronte a un conflitto tra istituzioni?
Non direi, governo e magistratura hanno competenze distinte assegnate loro dalla Costituzione. Per quanto riguarda la decisione dei giudici di Roma, c’è un sistema di impugnazioni che consente eventualmente di correggere decisioni anche intenzionalmente erronee. Ma possiamo fare una considerazione di carattere generale.
Quale?
I giudici in questione fanno riferimento a una sentenza della Corte di giustizia europea, che interpreta le norme Ue sulla protezione dello straniero. Ed è esatta l’indicazione del principio che il diritto europeo si applica immediatamente e che gli Stati nazionali devono rispettare gli impegni comunitari e il diritto internazionale. Mi pare che i giudici abbiano adottato la non convalida del provvedimento di rimpatrio ritenendo che siano Stati non sicuri non solo quelli ai quali si riferisce la tabella del ministero degli Esteri, ma anche quelli in cui è la situazione particolare della persona (magari per appartenenza a una minoranza conculcata o per orientamenti sessuali) a determinare la pericolosità. Che in questo caso va in qualche modo provata. Questo non vuol dire depennare il Paese dalla lista degli Stati sicuri. Si tratta di verificare questa non sicurezza nel caso specifico.
Ma c’è il rischio, come sostiene la maggioranza, che considerare un Paese insicuro possa portare a conseguenze diplomatiche rilevanti?
Può accadere se appunto si considera uno Stato non sicuro in assoluto. Ma questo incide anche sul provvedimento. Per superare la qualificazione di “Paese sicuro” bisogna motivare specificamente qual è la insicurezza che si determina per quella persona. Occorre passare da un’insicurezza tabellare a un’insicurezza specifica in rapporto a un singolo individuo.
Ma la sentenza del Tribunale di Roma è impugnabile dal governo?
Da quanto leggo è un provvedimento suscettibile unicamente di ricorso in Cassazione. Ma qui la legge può essere modificata perché, comportando valutazioni di merito - che sono difficilmente censurabili in Cassazione -, sarebbe opportuno che ci fosse la possibilità di impugnazione alla Corte d’appello, cioè che ci sia un altro giudice che consente eventualmente di correggere gli errori. Mi pare che la introduzione di questo, come di un elenco dei Paesi non sicuri in un atto di tipo legislativo, rafforzi la posizione dell’obbligo di rispettare la legge che si impone ai giudici. Legge che però può essere disapplicata in favore del diritto comunitario. Se poi vi è un dubbio sull’interpretazione del diritto comunitario, il giudice ha il dovere di rivolgersi alla Corte di giustizia.
Quindi il governo potrebbe varare un decreto che contenga una lista dei Paesi sicuri in cui poter rimpatriare i migranti espulsi?
Dovrebbe produrre una sua tabella, specificando che la insicurezza deve essere provata e stabilendo anche la possibilità di ricorribilità da parte sua.
E se la nuova tabella confliggesse con le norme europee? La tabella è un atto amministrativo, come tale ricorribile anche al giudice amministrativo, salvo che non ci sia una delega al governo da parte del Parlamento. Del resto, se per assurdo la tabella comportasse l’indicazione di interi continenti saremmo fuori dalla ragionevolezza.
La premier ha pubblicato una mail che, a suo dire, dimostrerebbe la volontà della magistratura di ostacolare il governo. Cosa ne pensa?
Innanzi tutto, si parla semmai di singoli giudici. La magistratura è un potere “diffuso”, ciascun giudice esercita la giurisdizione nei singoli casi attribuiti alla sua competenza. Detto questo i magistrati farebbero bene a non essere proclivi alle loro personali convinzioni quando decidono e a non fare dichiarazioni o compiere atti di carattere politico che ne inficiano la credibilità. Se poi dovesse esserci una decisione anche intenzionalmente errata, il rimedio è sempre nella giurisdizione.
L’Anm sostiene che un giudice può avere ed esprimere un parere contrario al governo.
Questo rientra nella libertà delle opinioni, ma i pareri sugli atti normativi li esprime il Csm. Il parere dell’Anm vale come quello di una qualsiasi formazione sociale, non è il parere “della magistratura”. Ciò detto neanche il governo può pretendere di imporre la soluzione delle controversie alla magistratura secondo i suoi desideri.
Lo scontro istituzionale però è nei fatti. Come superarlo?
Innanzi tutto serve prudenza da parte di tutti giudici, i quali meno dichiarano e prendono posizioni politiche e meglio fanno.
La maggioranza è tornata a invocare la separazione delle carriere. Risolverebbe qualcosa?
In questo caso ci troviamo di fronte a dei giudici, non a un pm. Mi chiedo poi se una corporazione di pm all’interno della magistratura, magari ancor più chiusa e che ha alle dipendenze operative la polizia giudiziaria, in realtà non rafforzi i pm ancora di più.
E le piace l’idea del sorteggio per i membri laici del Csm?
Quel che conta è limitare il potere delle correnti, che spesso non è gradito neanche alla magistratura quando da questa correntizzazione deriva un pericolo di parzialità correntizia nel governo delle carriere.