Attualità

LA VICENDA DI ELUANA. Mirabelli: «Con questa giurisprudenza a rischio diritti fondamentali»

Giovanni Ruggiero sabato 31 gennaio 2009
Il giurista Cesare Mirabelli, presidente e­merito della Corte Costituzionale, segue da Venezia, dove è impegnato in un con­vegno di studi, la relazione sull’amministra­zione della giustizia nell’anno 2008, presen­tata dal presidente della Corte di Cassazio­ne, Vincenzo Carbone. Non entra in tutte le vicende richiamate dall’alto magistrato, ma non condivide i toni entusiastici sulla affer­mazione dei diritti fondamentali della per­sona ad opera di alcune sentenze della stes­sa Corte, tra le quali la n. 27145, quella sul ca­so Eluana. «Non entro nel merito della rela­zione – dice infatti il professore Mirabelli – perché non ero presente, ma discuto l’indi­rizzo giurisprudenziale che il presidente Car­bone ha richiamato». Professore, lei ha giù espresso riserve su queste sentenze. Basate su quali motivi? A mio modo di vedere questo indirizzo giu­risprudenziale non rafforza i diritti fonda­mentali della persona, anzi li pone a rischio perché si muove su una linea di consenso presunto, dedotto addirittura da uno stile di vita dal quale è difficile desumere delle con­seguenze così gravi. Questa linea giuripru­denziale, oltretutto, non tiene conto del prin­cipio del consenso informato che è un pre­supposto a garanzia del diritto della perso­na. Sotto questo aspetto contraddice anche lo stesso indirizzo giurisprudenziale che vie­ne ricordato e che riguarda il non consenso per la trasfusione di sangue. La Cassazione, infatti, affermò che anche quando vi è uno scritto (nel caso specifico era «niente san­gue »), si procedesse ugualmente alla trasfu­sione, perché questo dissenso precede e non segue l’informazione che riguarda l’attua­lità della situazione. Anche in quel caso si disse che la volontà della persona o la vo­lontà dichiarata è superata perché è una vo­lontà che non si basa sul consenso informa­to. Tutto questo contraddice la giurispru­denza che si riferisce alla sentenza sull’ali­mentazione assistita. Il presidente Carbone, però, richiama con compiacimento questa giurisprudenza per­ché avrebbe consolidato certi diritti della persona. Ripeto: non voglio esprimere valutazioni po­sitive o critiche all’impo­stazione del presidente Carbone, che rispetto come enunciazione au­torevole, ma essendo ri­ferita a indirizzi giuri­sprudenziali della Corte, ritengo siano criticabili proprio questi indirizzi. Per quale motivo? Perché offrono un ele­mento di minore prote­zione e non di afferma­zione dei diritti fonda­mentali della persona, che quella sentenza de­termina, sia in rapporto al consenso presunto sia in assenza di un consen­so informato che, inve­ce, viene ritenuto il cardine dell’autodeter­minazione della persona. Tanto che quando queste determinazioni sono espresse con la richiesta di non procedere alla trasfusione di sangue, la stessa Cassazione dice di no e, anzi, stabilisce che si proceda a trasfusione in caso di pericolo di vita, perché quel con­senso precede e non segue l’informazione. Il presidente della Cassazione dice invece che la giurisprudenza recente della Corte legittima il diritto delle persone alla auto­determinazione, quasi come se fosse senza condizione. Qui si introduce un altro problema: entro quali limiti quella volontà della persona va­le. Certamente, rispetto a trattamenti sani- tari obbligatori, la scelta del­la persona vale. Ma con al­trettanta sicurezza non c’è il diritto di morire. L’ordina­mento non lo prevede. C’è il diritto di rifiutare tratta­menti sanitari imposti. Va poi stabilito se l’alimenta­zione sia o meno un tratta­mento sanitario. Il nodo giu­ridico reale però è l’indebo­limento forte dei diritti del­la persona, perché il consenso è presunto, mentre deve essere esplicito e formalizzato per le questioni più importanti che attengo­no alla vita. Qui abbiamo una presunzione astratta anticipata e non raccordata allo sta­to esistente. La giurisprudenza ri­chiamata da Carbone dice che se esistono i re­quisiti della consapevo-­lezza, dell’informazione e dell’autoresponsabilità, la libera esplicazio­ne di questi diritti non è sottoposta a nessun al­tro interesse... Certamente è premi­nente l’interesse della persona, ma proprio in situazione di tanta deli­catezza va garantita l’e­lemento del consenso senza essere affidato al­le valutazioni di un terzo, in questo caso il tutore o altri soggetti. L’autodeterminazione, per es­sere tale, presuppone il consenso informa­to che richiede l’attualità e, quindi, un rap­porto dialogico tra medico e paziente. Si di­ce che per le persone incapaci questo non è possibile. Ma ci possono essere altri che si so­stituiscono alla loro volontà? Direi proprio di no. La legge deve disciplinare anche questo ambito in coerenza con i principi e con le garanzie che sono necessarie per la tutela dei più deboli. Questo è un settore nel qua­le non opera adeguatamente un diritto giu­risprudenziale. Quando il legislatore tace, la giurisprudenza interviene sui diritti fonda­mentali, ma offre solo rimedi inadeguati. Oc­corre una soluzione normativa.