Attualità

Migranti. Nel ghetto foggiano, discarica di lavoratori, vincono degrado e illegalità

Antonio Maria Mira, San Severo (Foggia) mercoledì 17 agosto 2022

Degrado

Sale la tensione, assieme al degrado, nel "gran ghetto" di Torretta Antonacci, nelle campagne tra San Severo e Rignano Garganico (Foggia). Minacce, intimidazioni, sfociate il 10 agosto nell’aggressione a Mohammed Elmajdi, presidente di Anolf (Associazione nazionale Oltre le frontiere) Puglia e segretario territoriale della Cisl di Foggia. Al centro delle tensioni il campo container, "la foresteria", realizzato dalla Regione nel 2019 dopo l’incendio che aveva distrutto gran parte delle baracche. Ma la baraccopoli è rinata dalle sue ceneri, più ampia e degradata di prima. E ospita, in queste settimane di raccolta del pomodoro, più di 2mila braccianti. Mentre la foresteria, dove vivono 500 persone, è da anni terra di conquista, di affari illeciti, nascosti dietro la parola "autodeterminazione".

Nessuno interviene per bloccare l’illegalità. Anzi quando si prova a mettere ordine scatta la reazione violenta di alcuni personaggi e di alcune sigle pseudosindacali. Ne avevamo già scritto due anni fa quando nel mirino dei violenti erano finiti la Caritas diocesana di San Severo, la Flai Cgil del Foggiano, Intersos e l’associazione Baobab, accusate di voler fare soldi con l’assistenza, mentre erano le uniche presenze efficaci nel ghetto.

Dopo minacce e aggressioni, le attività (scuola, ambulatorio, sportello di ascolto) erano state sospese ed era poi stato possibile riprenderle solo con la presenza delle forze dell’ordine. A minacciare poche persone, allora aderenti al sindacato Usb e capitanate da Aboubakar Soumahoro, poi uscito dal sindacato per fondare la Lega braccianti e ora candidato di Verdi e Si alle politiche. Motivo della protesta la rivendicazione dell’autogestione del campo container. Ma probabilmente altro. Poi la situazione si era calmata e le attività del volontariato erano riprese.

La tensione è tornata quando, scaduta il 30 settembre 2021 la gestione delle Misericordie, la Regione ha fatto un nuovo bando. È andato due volte deserto, fin quando si è presentata l’Anolf, come unica manifestazione di interesse. Appena è corsa voce dell’assegnazione, sono partiti ricorsi alla prefettura per inesistenti irregolarità e poi le prime minacce sempre delle stesse persone (come riportato nell'intervista qui sotto).

Nel mirino proprio la gestione dei container, che questi personaggi non vogliono mollare e, più in generale, la predisposizione finalmente di controlli e sorveglianza. Noi siamo tornati al ghetto accompagnati da don Andrea Pupilla, direttore della Caritas diocesana.

L’unica novità positiva è che è stata asfaltata la strada, prima sterrata e piena di buche. Ma non era certo la prima urgenza. Giriamo tra container e baracche.

«Da due mesi abbiamo cambiato modalità di intervento – ci spiega don Andrea –, ogni giovedì facciamo ascolto girando, per instaurare un rapporto di fiducia. Poi chi vuole approfondire alcuni problemi viene allo sportello Caritas a San Severo aperto due giorni a settimana». Nell’ultimo anno si è riusciti a inserire sette immigrati in attività lavorative regolari: due in un centro sportivo, uno come commesso in un negozio, tre nella ristorazione, uno in un’azienda di barche. «Questo li rende finalmente autonomi ed è fondamentale».

A settembre, nell’ambito del Progetto Sipla, partirà un corso con Adecco di formazione professionale e sulla sicurezza. Iniziative concrete. Incontriamo Domenico Lamarca che con gli altri operatori dell’associazione Baobab porta avanti la scuola di alfabetizzazione. Oggi si impara l’italiano studiando per prendere la patente. Anche lui ci conferma che «c’è una brutta aria, c’è tensione. È difficile operare». Ma loro come altri volontari non si tirano indietro.

Che la situazione sia peggiorata si vede chiaramente. Le baracche sono aumentate, così come le automobili. Sono centinaia, anche alcuni tir, un vero mercato, probabilmente molte sono state rubate, altre vengono smontate per farne ricambi. «Sono alcuni rom a gestire questa attività», ci dicono i volontari. E infatti sono ben visibili. In fondo al ghetto il mercato di abiti, scarpe e oggetti vari. Enormi mucchi a terra, tra rifiuti e cani randagi. C’è davvero tanto degrado.

Ecco dove c’era la baracca di Joof Yusupha, 35 anni del Gambia, morto bruciato il 27 giugno, finito a vivere qui dopo aver perso il permesso di soggiorno a causa del cosiddetto "decreto sicurezza".

C’è tanta disumanità.

Un algerino che sta in Italia da 35 anni vive in un vecchissimo e sgangherato Fiat Fiorino. Ha 55 anni ma ne dimostra molti di più. Parla con accento calabrese perché ha vissuto a lungo a Gioia Tauro, e dice di stare bene lì. Non si muove mai dal suo rifugio di lamiera perché ha problemi alle gambe. Ma beve molto, come dimostrano i tanti cartoni di vino buttati a terra. I più "fortunati" stanno nei 114 container, anche se, come ci dicono tanti immigrati, devono pagare 100 euro al mese, illegalmente, proprio al gruppo dei violenti. Così come si paga 80 euro per avere la residenza, mentre la Caritas lo fa gratis.

In un container abita una ragazza nigeriana di 24 anni, incinta. Faceva la prostituta, come altre donne del ghetto, ci spiega Serena De Michele, mediatrice culturale della Caritas. Una presenza in crescita, un affare in crescita. La giovane voleva abortire ma i volontari della Caritas l’hanno aiutata ad accettare la maternità. Hanno poi convinto lei e il ragazzo ad entrare in un Sai (ex Sprar) ma dopo pochi mesi sono tornati al ghetto. Per fortuna nel container, lo stesso dove vivevano prima, l’evidente conferma di una gestione organizzata. Quella che con l’arrivo dell’Anolf perderà potere e affari. Ed è scattata la reazione violenta.

Il gran ghetto è divenuto una discarica di lavoratori

«No, proprio non mi aspettavo un’aggressione fisica. Opero lì dal 2008, sanno bene chi sono. Ho sempre cercato il dialogo ma queste persone si rifiutano. Dicono che il campo container deve essere autogestito. Ma dietro la scusa dell’autodeterminazione ci sono affari illeciti». Così Mohammed Elmajdi, presidente dell'Associazione nazionale Oltre le frontiere, aggredito il 10 agosto. Marocchino, ma da poco cittadino italiano, e sposato con una polacca, racconta le violenze subite. «Sono stato aggredito da una decina di persone con testate e pugni. Poi mi hanno tolto le chiavi dall’auto impedendomi di andare via per un’ora».

È stata la prima volta?
No. Le minacce sono cominciate a giugno quando si è saputo che avevamo vinto il bando. Il 5 agosto hanno impedito il passaggio delle consegne con le Misericordie. Ci hanno cacciati. Mi hanno detto: «Sei stato già avvisato, non devi più tornare!».

Chi sono?
Fanno riferimento sia alla Lega braccianti che alla nuova associazione Terra e libertà. Non più di 15 persone ma capaci di condizionare gli altri. È un comportamento mafioso. Sono divisi tra di loro, tra le diverse sigle, ma uniti contro gli esterni. Lo hanno già fatto nel passato con la Caritas, la Flai-Cgil, Intersos, Baobab, ora se la prendono con noi.

Ma gli altri lavoratori non reagiscono?
Hanno paura, oppure pensano di poter ottenere favori. Perché forniscono servizi: trasporto, alloggio nei container, documenti. Ovviamente a pagamento. I lavoratori un po’ si fidano perché questi personaggi sono nel "gran ghetto" da anni. Si sono accreditati.

Vi accusano di voler fare soldi con l’accoglienza…
L’affidamento è per 6 mesi, prorogabili, e prevede il pagamento di 50mila euro. Ma dobbiamo garantire custodia e sorveglianza del campo container, attività di accoglienza con una presenza 24 ore su 24. Non mi sembra un affare… Inoltre noi continuiamo la nostra attività al fianco dei braccianti. Ma anche questo non è gradito.

In che senso?
Pochi giorni prima dell’aggressione stavo parlando con un ragazzo per fissare un appuntamento per risolvere i suoi problemi, di lavoro e personali. È passato uno di quei personaggi e lui non ha più voluto parlare. Silenzio. Aveva paura.

Lei ha presentato una denuncia ai carabinieri e venerdì scorso è stato convocato dal prefetto di Foggia, Maurizio Valiante, in una riunione con le forze dell’ordine e rappresentanti sindacali e della Regione. Cosa le hanno detto?
Mi hanno garantito che saremo accompagnati. Ma servirebbe un presidio fisso delle forze dell’ordine per dire che lo Stato è presente. Comunque a settembre torneremo e riprenderemo la nostra attività. C’è tutta la nostra disponibilità a ripristinare la legalità. Non ci tiriamo indietro. Vadano via loro. Noi non lasceremo Torretta Antonacci perché qui c’è gente che ha bisogno di noi.

Intanto le condizioni del "gran ghetto" stanno peggiorando.
Proprio così. È diventata una "discarica" di lavoratori. Soprattutto i senegalesi con più di 50 anni. Stavano al Nord, hanno perso il lavoro ma a quell’età e per di più immigrati, non li vuole nessuno. Così vengono qua, nella "discarica" di Torretta Antonacci.