Attualità

Il governo. Mini-rimpasto: Delrio alle Infrastrutture

Roberta D'Angelo mercoledì 1 aprile 2015
Il giorno dopo la strigliata alla minoranza del suo partito, Matteo Renzi cerca di risistemare le pedine anche sulla scacchiera del governo. Chiama a rapporto il leader ncd Angelino Alfano con Maurizio Lupi e designa il successore alle Infrastrutture: il 'suo' Graziano Delrio, che lascia la poltrona di sottosegretario alla Presidenza. Così il mini-rimpasto tanto rinviato diventa un passaggio indispensabile, che si deve chiudere prima di Pasqua. Anche perché i centristi, che hanno sacrificato la testa del loro uomo di punta, restano scoperti e chiedono una poltrona altrettanto di peso.  Un’esigenza in vista delle regionali, alle quali non si possono presentare da perdenti in un governo che li sfratta, così come li dipinge Nunzia De Girolamo, sempre più agguerrita nei confronti dell’esecutivo e sempre più isolata nel partito, che addirittura starebbe raccogliendo le firme per sfilarle la poltrona. E allora il ministero per gli Affari regionali, da tempo lasciato libero da Lanzetta, viene rafforzato dal premier, che concede un portafoglio e le deleghe per il Sud chieste da Ncd, pronto a sostituire la presidente dei deputati di Ap con Lupi.  E però Renzi non sente ragioni sulla possibilità che il ministro sia Gaetano Quagliariello. Il presidente del Consiglio vuole una donna. Alfano potrebbe scegliere tra Chiavaroli, Scopelliti, Mazzoni o Castaldini. Resterebbe poi vuoto l’ufficio di Delrio, che qualcuno vede bene per Maria Elena Boschi, già però molto impegnata con le riforme. E sarebbe inopportuno per molti rimuovere proprio alla vigilia dell’approdo dell’Italicum in aula la titolare del ministero. Piuttosto, si pensa a un doppio incarico fino all’approvazione dell’Italicum, per poi passare la mano a Quagliariello.  Sulla legge elettorale, intanto, si va avanti in fretta, senza aperture alla minoranza del Pd, che continua a essere divisa al suo interno, tra chi vuole trattare e chi come D’Attorre preferirebbe rompere e andare alle elezioni con il 'Consultellum'. Ma per il capogruppo Roberto Speranza ci possono essere margini di intesa. Il premier ha già spiegato che non intende far tornare il testo al Senato, malgrado le rassicurazioni di Cuperlo. E allora si fanno strada due ipotesi: una rottura totale, con la richiesta di fiducia da parte di Renzi, che finirebbe comunque per far rientrare parte dei dissidenti; un aumento del numero dei collegi, che non necessiterebbe di mettere mano al testo, e che renderebbe la legge più maggioritaria, secondo le richieste di Bersani e parte della minoranza dem. L’8 aprile, dunque, la legge sarà in Commissione. Il premier ha spiegato la sua linea decisionista in una lunga intervista al New York Times. «Per l’Italia è il momento delle decisioni. Sono il più giovane leader che l’Italia abbia mai avuto. Sto usando la mia energia e il mio dinamismo per cambiare il mio Paese. Penso che sia il tempo di scrivere una nuova pagina per l’Italia. Non posso aspettare a causa dei vecchi problemi del passato». Ma se Renzi è il nuovo, ancor più nuovo appare l’asse che si profila tra Italia Unica di Corrado Passera e Pippo Civati, contro quelle che entrambi definiscono le «storture» della Costituzione introdotte dalle riforme della legge elettorale e del Senato. A raccogliere l’appello dell’ex ministro montiano ai parlamentari e ai cittadini «per arginare la pericolosa deriva» che il combinato disposto delle due riforme provocherebbe alla democrazia italiana con la «concentrazione di potere in mano di un’estrema minoranza», infatti, c’era proprio il più agguerrito oppositore interno del premier.