«Ahmed è stato ucciso, tanto per cominciare. Se la polizia non arresta subito gli assassini, ci penseremo noi. Li porteremo direttamente in piazza Gorini». Jamaal promette altro sangue. I
latinos lo sanno, e in via Padova quasi non si vedono. Perché in piazzale Gorini c’è l’obitorio, lo stesso nel quale è stato portato il 19enne egiziano, pugnalato al cuore durante una scazzottata con tre ispanici. Rintanati nei loro negozi dalle vetrine spaccate, i sudamericani aspettano che passi la tempesta. L’andirivieni di polizia e carabinieri non li rincuora. «Fra una settimana se ne saranno andati – teme Julio, lavapiatti in un ristorante gestito da peruviani –. Non è la prima volta. Succede qualcosa, poi polizia giorno e notte, dopo si torna come prima». Come prima vuol dire sbarcare il lunario di giorno scaricando la rabbia in notti alcoliche e violente.Lungo la strada che odora di carni speziate e gas di scarico, la vita appare quella di sempre. La mercanzia in vista dei minimarket "Eurasia", le affollate agenzie per le telefonate intercontinentali a basso costo, le ragazze cinesi del centro massaggi "Grande Muraglia", gli sportelli dei "money transfer" a cui affidare le rimesse per i parenti nei Paesi d’origine.«È solo calma apparente», assicura Mario V., tra i pochi negozianti italiani rimasti sulla piazza. «Il problema – sostiene – sono gli sfruttatori di poveri. La tensione sono loro ad alimentarla». Sia chiaro: «Io voto Lega, perciò mi permetto di prendermela prima di tutto con gli italiani che non danno l’esempio. Se ne approfittano facendo pagare ai clandestini 300 euro per una branda un bilocale dove vivono in dieci, mentre altri, sempre italiani, li prendono a lavorare per 5 euro l’ora». Salvo gli affitti, qui tutto è a buon mercato: le braccia, le dosi di cocaina allungata con il borotalco, le attività commerciali che passano di mano in tempo reale. Ieri mattina un tunisino ha messo in vendita il suo avviato "Internet point e Money transfer": 10mila euro non trattabili. Nel pomeriggio c’erano già un paio di cinesi a prendere le misure della nuova insegna.Per una volta la religione, il colore della pelle, le differenze culturali non c’entrano. «Il poliziotto di quartiere? E chi lo vede più», si lamenta ancora il 70enne commerciante di biancheria. «Perché il Comune non manda i vigili a ispezionare i condomìni, facendo pagare multe salate a chi ha trasformato i vecchi palazzi in lager?». Nel pomeriggio sono arrivati i 170 agenti di rinforzo invocati dal sindaco Letizia Moratti. E da oggi riprenderanno i controlli negli appartamenti affittati a clandestini. La legge prevede multe salate e la confisca, ma a Milano l’ultimo provvedimento è dell’estate scorsa. Poi più niente.Nel quartiere è giorno di mercato. In mezzo alle trecento bancarelle gli unici italiani sono gli acquirenti, massaie e pensionati. È qui che si capisce come via Padova stia diventando, a seconda da come la si guardi, una enclave di immigrati o un ghetto per milanesi.La Casa della cultura islamica guidata dal prudente Asfa Mahmoud «auspica che le autorità non isolino Via Padova», e che semmai occorre maggiore presenza «non solamente con la sicurezza ma anche con progetti sociali coordinati e luoghi che facilitino l’integrazione». I messaggi vergati in arabo per ricordare Ahmed Aziz El Sayed, dicono che gli immigrati si aspettano giustizia. «Non è giusto – traduce un manovale di Alessandria d’Egitto – morire a 19 anni senza un motivo. Non è giusto spegnere così il sogno di una vita finalmente degna». Ashraf Rashid, ambasciatore del Cairo a Roma, è stato chiaro: «Ci auguriamo che il colpevole venga presto arrestato». Il diplomatico richiama tutti al «rispetto della legge italiana», augurandosi che «gli inquirenti tengano conto del sentimento di dolore provato dagli egiziani alla notizia di questo crimine e arrestino in fretta il colpevole dell’omicidio di un giovane nel fiore degli anni». Se l’ambasciatore non richiama all’ordine i suoi connazionali (forse per non eccitare la rabbia di chi tra essi ha tentato di assaltare il consolato di Milano), non teme di levare la voce l’imam di viale Padova: «Condanniamo – ripete l’architetto Mahmud – tutte le spiacevoli derive (scassare vetrine, ribaltare macchine…) che portano disagio alla zona».Nel corso dei tafferugli scoppiati dopo l’omicidio sono state ribaltate 9 auto, 17 quelle danneggiate, 5 i negozi di latinoamericani vandalizzati. I cinque egiziani fermati per i disordini oggi saranno interrogati dal gip Maria Grazia Domanico, che dovrà decidere sulla richiesta di convalida dell’arresto inoltrata dal pm Elio Ramondini. I cinque, tutti clandestini di età dai 19 ai 32 anni, sono accusati di devastazione e saccheggio. Jamaal batte i pugni sul tavolo del ristorante turco dove si pranza alla buona spendendo 5 euro. «Ora butteranno fuori dall’Italia i nostri amici che hanno fatto casino, ma intanto i
latinos non li hanno ancora arrestati. Giuro che Ahmed avrà giustizia». Ma la giustizia di Jamaal non è quella che porterà la pace in via Padova.
I preti del quartiere: «Noi, disarmati e solidali». Rattristati ma non sopraffatti, i preti delle comunità di via Padova e del decanato di Turro stanno facendo sentire in questi giorni la propria voce, soprattutto nell’incontro diretto con la gente del quartiere e i fedeli che chiedono loro «come andare avanti». I sacerdoti sentono «la sproporzione di fronte a problemi più grandi di noi», scrivono in una lettera. Ma vogliono rimanere «in mezzo al conflitto, disarmati e solidali». Chiedono a cittadini e istituzioni di evitare sia la «sterile lamentazione» sia «una sottovalutazione ingenua della gravità dei problemi». E il loro pensiero corre innanzitutto a chi vive nelle vie della zona: serve, dicono, «coraggio per tutti: per gli italiani come per gli stranieri. Ci sono tante persone che semplicemente vogliono vivere in pace, che provano a convivere con quelli che abitano lo stesso quartiere». Occorre «una nuova giustizia». La convivenza è possibile, dicono i sacerdoti, «se ci sono delle norme e dei patti che permettono alle persone che hanno storie diverse e culture differenti di riconoscersi e di rispettarsi». Le istituzioni pubbliche «devono fare la loro parte trovando le leggi giuste». Servono «patti di cittadinanza» e scuole, oratori e comunità cristiane danno l’esempio. Da qui l’appello a «tornare ad abitare le nostre strade, i condomini e i quartieri, per renderli di nuovo luoghi del vivere comune e non terra di nessuno». In particolare don Piero Cecchi, della parrocchia di San Giovanni Crisostomo, intervistato da Radio Vaticana ha ribadito che «servono gli educatori e non i poliziotti per evitare il ripetersi di scontri». In via Padova «non c’è alcuno scontro tra etnie», ma «tante persone italiane e straniere che vivono in pace e cercano di convivere con quelli che abitano di fianco a loro». E «l’integrazione ha prodotto frutti» ha concluso il parroco, che per domani ha promosso una veglia di preghiera e riflessione aperta a tutti.