Pandemia. Milano, l’alba degli invisibili. Tra gli uomini soli in cerca di aiuto
Un viaggio dentro la «pandemia sociale». Territorio per territorio, città per città. È quello che "Avvenire" ha cominciato già nel 2020 da Roma, e che farà tappa in diversi centri del Paese. Era il 23 aprile scorso, quando ancora in piena emergenza coronavirus, papa Francesco durante la Messa del mattino a Santa Marta disse parole dure e profetiche. «Tante famiglie hanno bisogno, fanno la fame e purtroppo li aiuta il gruppo degli usurai. Questa è un’altra pandemia, la pandemia sociale». L’Italia era rinchiusa in casa eppure l’allarme già risuonava alto e forte: troppe persone non erano in grado di mettere insieme il pranzo con la cena, troppe facce mai viste avevano bussato subito alle mense della Caritas e agli sportelli dei Comuni per chiedere aiuto. Famiglie numerose, partite Iva senza prospettiva, anziani soli: è questo il popolo che incontrano ogni giorno, da mesi, migliaia di operatori e volontari. La presenza dello Stato si accompagna a quella, fondamentale, del Terzo settore, con molte realtà cattoliche in prima linea. Sullo sfondo, si intravede già però il frutto malato prodotto dalla "pandemia sociale", che su queste pagine abbiamo più volte documentato: il moltiplicarsi dei casi di usura, di sfruttamento, di disumanità, insieme al guanto di sfida lanciato dalle grandi organizzazioni criminali alle istituzioni. Gli aiuti economici per il Covid fanno gola alle mafie. Per questo, al territorio servono anticorpi efficaci, da ricercare nella società civile e nelle risposte attese dalla politica. (D.M.)
Disperati, rassegnati, soli con se stessi. I poveri di Milano sono un esercito silenzioso costituito da senza dimora, da uomini e donne che hanno perso il lavoro o non ce la fanno più a vivere con lo stipendio o la pensione. Invisibili le cui esistenze la pandemia ha reso ancora più pesanti. Li abbiamo incontrati al Refettorio della Caritas Ambrosiana di piazza Greco, in coda per ricevere prodotti alimentari ai banchi del Pane Quotidiano di viale Toscana, alla mensa dell’Opera San Francesco gestita dai Cappuccini di viale Piave. E di notte, accompagnati dall’Unità di strada del Cisom (Corpo Italiano di Soccorso del’Ordine di Malta) li abbiamo visti dormire dentro i sacchi a pelo negli angoli più bui delle periferie, nascosti negli androni dei palazzi del centro, sulle panchine dei parchi.
Le vite degli altri
Tino, 67 anni, abita in un monolocale del quartiere Niguarda e prende una pensione di 460 euro al mese che non gli bastano per pagare affitto e bollette. Mangia quasi sempre al desco comunitario di piazza Greco, che è vicino a casa. «Io un tetto sopra la testa ce l’ho – commenta – e mi ritengo fortunato rispetto ai miei amici costretti a dormire per strada». Orfano e adottato da una coppia in età adulta, Tino è arrivato a Milano da Taranto che era ancora un ragazzino: fa mille mestieri per campare finché un grave incidente lo costringe a fermarsi. «Non mi vergogno di venire alla Caritas dove mi sento accolto come un fratello». Ma la pandemia è stato un colpo durissimo anche per lui. «Il Covid mi ha cambiato psicologicamente – afferma – mi sono venuti attacchi di panico, vorrei vivere la mia vecchiaia in tranquillità, ma chissà se ci riuscirò».
Sergio, piemontese, 65 anni, ex dj e tecnico informatico, per via di un amore sbagliato si è ritrovato all’improvviso senza casa, col conto prosciugato e pochi spiccioli in tasca. Anche lui ha cercato nella «grande Milano» l’occasione per risalire la china. Ma sono dovuti passare tre anni prima di trovare un alloggio, nel centro di accoglienza via Sammartini, vicino alla stazione Centrale, e lavori saltuari per sbarcare il lunario: «Durante il lockdown ho dormito sotto i ponti, con i topi che mi passeggiavano intorno – racconta –, poi ho incontrato don Bassano Pirovano, dell’Opera Don Guanella e quelli della Comunità Tetto Fraterno di Erba che mi hanno aiutato». «I volontari ci spalancano l’anima – prosegue Sergio – e con loro è un continuo dare e un ricevere umanità».
Sulima Mago, 69enne, ha la pelle nera: partito dall’Africa, è approdato a Brescia 30 anni fa per studiare medicina con una borsa di studio del governo del Sud Sudan ma non ha potuto laurearsi perché, a causa della guerra civile scoppiata nel suo Paese, non ha ricevuto più alcun sostegno: «Avevo dato tutti gli esami ma prima della tesi ho dovuto mollare tutto – spiega – e quindi mi sono messo a fare l’elettricista, il falegname e altri mestieri per una cooperativa che però, con la crisi, è fallita e così mi sono ritrovato senza lavoro. E alla mia età, ormai, non mi assume più nessuno...». E la casa? «Non ce l’ho. Sono ospite di una famiglia in via Farini e a cena vengo qui alla Caritas».
Una storia di riscatto
Maurizio, 47 anni, era titolare con il padre e una terza persona di un’azienda di servizi informatici a Ivrea: la ditta fallisce, il socio scappa, il genitore si toglie la vita e lui deve pagare fino all’ultimo euro tutti i creditori. La madre muore di crepacuore pochi mesi dopo. Maurizio finisce solo e sul lastrico, gli rimangono appena i soldi per venire a Milano in cerca di fortuna: ha un diploma in tasca e nella capitale economica d’Italia di lavoro ce n’è. «Volevo ricominciare da zero ma non ho fatto i conti con la realtà, molto più dura di quanto pensassi» ammette. «All’inizio del 2020 ho finito i miei risparmi – racconta – e, non potendo contare più su nessuno, perché anche gli amici quando sei nei guai si dileguano, ho dovuto passare le notti a bordo del tram 90, come tanti altri disperati fanno: salivo a Lotto e scendevo al capolinea di piazzale Lodi, il giro della città». Un lavoretto ogni tanto gli consente di barcamenarsi. Ottiene un posto in un dormitorio ma è una sistemazione provvisoria e dopo 15 giorni deve lasciarlo. «Poi con la pandemia sono sprofondato di nuovo nella depressione, per consolarmi mangiavo torte intere e sono ingrassato fino a pesare fino a 140 chili, ho avuto la trombo-flebite e crisi ipertensive, le gambe non mi reggevano più, ho preso anche il Covid». Ma con la Caritas Maurizio ha trovato un letto dove dormire e farsi curare: «Sono stato ospitato lì proprio il 24 dicembre dell’anno scorso, non ci speravo, alla vigilia di Natale, devo ringraziare il mio amico Mimmo del quaritiere Baggio, che mi ha dato fiducia». Guarito dai suoi malanni fisici, Maurizio viene inserito in un progetto di Opera San Francesco e a maggio gli assegnano in via definitiva un monolocale. Adesso lavora part-time in un’azienda di prodotti digitali con la quale dal 1° gennaio avrà un contratto a tempo indeterminato: «Proprio quando mi stavo arrendendo qualcuno si è accorto di me» è la sua frase liberatoria. E intanto, nelle ore libere, presta servizio come volontario a Radio Piazzetta, messa su con altri ospiti della Caritas di Greco.
52mila sono le persone senza fissa dimora in Italia. Per la maggior parte sono uomini (86%) e per metà italiani (stima fio.Psd e ministero del Lavoro e Politiche sociali) - .
Col sacco a pelo a -3
Incontri che non ti aspetti in una notte di dicembre con temperature sotto lo zero. Mohammed è un giovane pachistano e fa il rider. Abita a Pavia e lavora a Milano e quando non è sfinito, dopo una giornata di massacrante lavoro, torna a casa in bicicletta: 36 chilometri ancora da pedalare. Ma stavolta la strada è ghiacciata e lui non se la sente di rimettersi in sella. E allora sceglie un cantuccio, in zona Porta Romana, prende una coperta termica e si mette per terra a dormire, legandosi la bicicletta a un piede perché nessuno gliela porti via. Poco più in là, su una panchina accanto alla chiesa di San Giovanni in Brolo, L. di Pavia si accende una sigaretta e domanda alla squadra del Cisom venuta a vedere come sta, cosa deve fare per vaccinarsi con la seconda dose: ha 67 anni, una faccia simpatica e nella vita “precedente” aveva fatto l’idraulico. «Ma adesso se chiedo di lavorare si mettono a ridere...». F., anche lui sulla sessantina, originario della Sardegna, vive a Milano dal 1982, ha scelto un portone dell’Università Statale per i suoi tormentati sonni nel sacco a pelo blu. Trema, forse ha la febbre e chiede delle medicine, ma non gliele possono dare senza la ricetta. Fra poco arriverà un medico a visitarlo.
Nel parco di Largo Marinai d’Italia, di fronte alla palazzina Liberty, c’è un bocciodromo in disuso: sono una trentina i clochard che di notte si rifugiano sotto quel capannone. Quasi tutti migranti nordafricani. Ma tra loro c’è anche Ubaldo, un milanese poco più che cinquantenne: «Vivo con le 500 euro al mese del reddito di cittadinanza, e nient’altro. Non ho più nessuno, mia mamma che era invalida, è morta qualche anno fa». È un uomo tranquillo anche se errori ne ha fatti tanti e qualche volta si è messo pure nei guai. Un lavoro lo aveva trovato grazie agli amici del Cisom: fattorino in una ditta. Lo avevano rivestito da capo a piedi che pareva un figurino. «Ma l’esperienza è durata poco, perché sei mesi dopo l’impresa ha chiuso» raccontano i suoi soccorritori.
5,6 milioni di italiani vivono in povertà assoluta nel 2020. Il fenomeno riguarda più di due milioni di famiglie (7,7%). È il valore più alto dal 2005 (dati Istat) - .
In fila per il pacco
Al centro del Pane Quotidiano tra la Bocconi e il Parco Ravizza la prima coda comincia a formarsi ogni giorno verso le quattro del mattino. Qui, a prendere il sacchetto con pane, pasta, biscotti, latte, vengono persone di tutte le età e fasce sociali: migranti, pensionati, impiegati, e ultimamente soprattutto badanti e colf rimaste senza lavoro a causa della pandemia. C’è Ruslan, moldavo, che arriva dopo 12 ore di lavoro notturno in un parcheggio: «Guadagno poco e ho moglie e tre figli da mantenere». Innocenza è una signora che vive sola e percepisce la pensione minima: «Dopo un anno e mezzo chiusa in casa per la pandemia, ho bisogno di incontrare gente con cui scambiare due chiacchiere». C’è chi si vergogna di chiedere il pacco e chi invece lo fa per gli altri. Tra questi, Domenico Pracchi, già titolare di una catena di discount molto conosciuta in città (23 i punti vendita, l’ultimo ha chiuso nel 2014). Oggi il “re della piccola distribuzione” ha 90 anni e vive con la badante in viale Umbria: arriva qui ogni giorno in bicicletta, salta la fila d’accordo con gli uomini del servizio d’ordine e carica cibo per cinque-sei persone che poi consegna a quelli del suo palazzo che ne hanno bisogno: «Lo faccio per rendermi utile, non mi va di passeggiare ai giardinetti».