Casa. Milano città proibita alle famiglie. «Noi, in 4, costretti in un bilocale»
Milano non è più una città per famiglie comuni. Lo dicono i numeri dei prezzi medi al metro quadrato: stando al sito specializzato Immobiliare.it, a febbraio si è raggiunta la media di 5.434 euro al metro quadrato che significa che si compra dai 3.040 €/m² nelle zone più periferiche ai 10.936 €/m² per case in zone centralissime o nuovissime, mentre per gli affitti si è arrivati a toccare 22 euro/m² che tradotto in parole significa che per un trilocale di 80 metri quadrati si arriva a spendere 1.760 euro in media, e anche qui, rinunciando al trasporto pubblico sotto casa si può scendere fino a 1.200 euro di canone mensile.
Milano non è più così accessibile a tutti, lo dicono i numeri ma lo testimoniano anche le storie di alcune persone comuni, che da alcuni quartieri sono finite espulse: è il caso di Anna e Davide che sono due milanesi, di 38 e 37 anni, hanno due figli, Pietro 9 e Paolo 11 anni. Si sono conosciuti tra il parco Trotter, i ponti delle ferrovie tra Turro e Rovereto, non lontano dal complesso di case popolari di Gorla. In quello stesso quartiere che oggi per tutti è diventato solo NoLo, e rappresenta l’area a Nord di Loreto spolpata della sua autenticità e popolarità: negli ultimi 15 anni ha subito un processo di gentrificazione, con tanto di renaming del quartiere, riconosciuto anche dal Comune di Milano. E così una nuova ondata di persone giovani, arrivate da fuori città, ha finito per acquistare casa tra viale Monza, via Soperga e via Padova, facendo fare grossi affari alle agenzie immobiliari. E seppur rivitalizzando, va detto, gli spazi urbani con attività culturali, da NoLo anziani e persone con minor disponibilità economica sono rimaste tagliate fuori per la bolla speculativa del mercato immobiliare.
Anna e Davide le hanno viste queste cose accadere, ma ci sono anche finiti in mezzo, loro malgrado: Anna ha lasciato gli studi all’università in concomitanza con l’arrivo del suo primo figlio dodici anni fa. In quel periodo, per pagarsi gli studi lavorava in una grossa catena di abbigliamento che dopo aver saputo della sua maternità l’ha lasciata a casa. «Ho continuato a lavorare fino all’ottavo mese, mi impegnavo, cercavo di dimostrare che nulla sarebbe cambiato. Ma semplicemente mi è stato detto che non avevano intenzione di farmi il contratto a tempo indeterminato, di cui parlavamo da mesi» o, meglio, da mesi prima che si sapesse che sarebbe nato Paolo.
In quel momento, Davide ha completato gli studi in Mediazione culturale, ma questo ha coinciso con il periodo peggiore per la loro famiglia: Anna senza lavoro, Davide senza lavoro e Paolo venuto al mondo, vivace e bello. «In quel periodo non avevamo i soldi per pagare un affitto e siamo dovuti tornare a vivere con i miei genitori – spiega Anna –. I miei ospitavano già mio fratello e mia cognata. Mio padre ci ha accolto tutti. Io davo una mano come potevo e prendevo ogni genere di lavoro anche come colf, facendo le pulizie». Davide ha trovato uno spiraglio di luce in parrocchia, diventandone il custode. «Aiutavo nelle attività parrocchiali: aprivo e chiudevo l’oratorio. Spesso, mi raggiungeva Anna con i bambini e giocavamo assieme fino all’orario di chiusura». Nel frattempo, era nato anche il secondo figlio, Pietro, ma i soldi continuavano a mancare ed è stato allora che «abbiamo commesso l’errore più grande della nostra vita» dicono insieme Davide e Anna, riferendosi alla scelta di occupare per alcuni anni un appartamento nel caseggiato popolare di Gorla. «Ci siamo poi autodenunciati, c’è stato un procedimento a nostro carico, che si è concluso con lo sgombero e per noi le misure alternative che hanno significato lavori socialmente utili, ma anche tornare a essere incensurati sul piano penale» spiegano ancora.
Una volta toccato il fondo con lo sgombero, sono arrivate, poi, delle svolte positive: Davide ha trovato lavoro in un gruppo assicurativo, Anna si è adoperata per formarsi come segretaria e trovare un impiego in uno studio medico, con anni e pazienza, prima per poche ore, fino ad arrivare alle attuali sei ore giornaliere.
C’è voluto tempo perché la famiglia trovasse finalmente un bilocale in affitto in via Asiago, nel quale stanno ovviamente un po’ stretti in 4. «Sogniamo ancora di poterci comprare una casa con una stanza in più. Continuiamo a cercare, anche se avendo compiuto 36 anni, abbiamo perso la chance di richiedere un mutuo al 100%. Alcune banche però ci hanno parlato della possibilità di averlo al 95%; noi non abbiamo risparmi da parte con cui pagare l’agenzia immobiliare, il notaio e le tasse sull’acquisto. Forse mio fratello potrà darci un piccolo aiuto» continua Anna. Ed ecco che emerge un altro nodo centrale nell’acquisto di una casa: a Milano non ci sono solo i prezzi inavvicinabili per molti, ma contano anche la capacità di risparmio e i salari troppo bassi per vivere in una città diventata così cara per tanti.
Per acquistare casa il 52% delle famiglie italiane ha ricevuto, in tutto o in parte, il supporto economico dei genitori (dati del Centro internazionale studi famiglia, “CISF Family Report 2024). Una percentuale che sale al 70% tra i giovani under 35, come a dire che per “mettere su famiglia” e alleviare le condizioni di vulnerabilità abitativa è necessario partire da una posizione di privilegio, ma anche avere a disposizione una rete familiare di supporto e con una buona capacità di risparmio.