A Milano, che dopo l'11 settembre
del 2001 fu una delle città italiane in cui venne individuato il
maggior numero di soggetti sospettati di essere terroristi
islamici, inquirenti ed investigatori stanno effettuando un
"monitoraggio costante" su possibili nuovi gruppi jihadisti e,
da quanto risulta, hanno anche aperto tempo fa un fascicolo di
inchiesta che vede indagati alcuni siriani. E tutto ciò in un
periodo in cui, tra l'altro, i militanti del cosiddetto 'Stato
islamicò dell'Isis, attivi soprattutto in Iraq e in Siria,
stanno reclutando anche combattenti in Europa.
In una relazione della Procura milanese si legge, infatti,
che sono in corso "complesse indagini" con al centro il reato di
terrorismo internazionale (art. 270 bis, introdotto dopo
l'attentato alle Torri Gemelle), anche se fonti qualificate
hanno precisato che per il momento si tratta di accertamenti,
avviati già da tempo, da parte delle "forze di polizia che
mantengono alta l'attenzione sul fenomeno". Da quanto si è
saputo, tra gli indagati in un fascicolo aperto quasi due anni
fa ci sarebbero 4 siriani, tra cui Haisam Sakhanh che per oltre
dieci anni ha vissuto a Cologno Monzese e che poi da oltre due
anni ha fatto perdere le sue tracce. Dopo aver reclutato
combattenti, sarebbe partito per la Siria assieme ad altri
connazionali.
Nell'ultimo "Bilancio di responsabilità sociale" dell'ufficio
inquirente milanese, pubblicato qualche mese fa, il procuratore
Edmondo Bruti Liberati ha sottolineato, tra le altre cose, i
"possibili riflessi" anche nel capoluogo lombardo "delle
tensioni sovranazionali" in Siria, Iraq, Libia ed Egitto, in
relazione soprattutto a "attività o movimenti di persone" legate
a gruppi terroristici. C'è da dire, infatti, che proprio a
Milano, tra le moschee di viale Jenner e di via Quaranta, ha
operato poco più di dieci anni fa, quando era da poco cominciata
la guerra in Afghanistan, Abu Omar, l'imam egiziano che venne
rapito nel 2003 dagli uomini della Cia e poi torturato. Imam
che, però, è stato anche condannato lo scorso gennaio a 6 anni
di carcere con l'accusa di aver reclutato "adepti" nel capoluogo
lombardo pronti anche al "martirio". Anche in questi ultimi
mesi, da quanto si è saputo, il dipartimento anti-terrorismo
guidato dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli ha
monitorato le possibili recrudescenze del fondamentalismo
islamico in città, anche se al momento, come spiegano dal quarto
piano della Procura, non si segnalano situazioni "gravi o
allarmanti".
Le attività di analisi degli inquirenti e degli investigatori
del Ros e della Digos si sono concentrate soprattutto sulla
cosiddetta "radicalizzazione via web" di persone di origine
straniera ma cresciute in Lombardia e che hanno abbracciato la
causa della jihad. Nella relazione firmata da Bruti Liberati,
infatti, si parla di accertamenti in corso "sull'evoluzione del
fenomeno terroristico", ossia sulle forme di cosiddetto
"terrorismo individuale" o "terrorismo home-grown". Negli ultimi
anni, in realtà, dopo le inchieste della prima metà degli anni
2000, poche persone sono arrivate a processo a Milano con
l'accusa di terrorismo internazionale. Una delle ultime
inchieste milanesi, tra l'altro, si è chiusa, nel luglio del
2010, con l'assoluzione di due marocchini, sospettati di essere
legati ad Al Qaeda e che, secondo l'accusa, avrebbero progettato
attentati terroristici in un quadro di "jihad globale".