Razzismo. Chiese danneggiate e intimidazioni, quei sacerdoti nel mirino
Don Gianfranco Formenton, nel mirino dei razzisti, con monsignor Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia (AgenSir)
I lupi solitari del fondamentalismo xenofobo brandiscono il crocifisso, ma non disdegnano di farlo a pezzi. Imprevedibili e pericolosi, da mesi hanno nel mirino chiese, sacerdoti, organizzazioni del volontariato cattolico. Al grido di «Prima gli italiani!» c’è chi si inventa bombarolo, chi incendiario, chi compie raid vandalici e blasfemi. Una scia silenziosa di attacchi che ha subito un’escalation senza precedenti.
Dalle bombe nel Fermano, alle aggressioni in Toscana, e poi lettere minatorie, immagini sacre sfregiate, incendi. E c’è addirittura chi, tra tricolori e bandiere nere, emette sentenze da inquisizione. Com’è capitato il 28 giugno di un anno fa a don Armando Zappolini, parroco a Pergignano, nel Pisano, e presidente del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (Cnca). All’ingresso di casa il sacerdote si è trovato uno striscione di Forza Nuova, che condannava la festa per la fine del Ramadan organizzata insieme ai parrocchiani che avevano invitato la comunità islamica. La sentenza politico-teologica: «Zappolini eretico!».
Era solo l’inizio. Il 22 agosto a Camerano, in provincia di Ancona, quando in città era forte il dibattito sull’accoglimento del progetto Sprar e l’arrivo di 12 stranieri, a don Aldo Pierini viene fatta trovare una lettera sul leggìo della chiesa. La missiva reca la firma di Forza Nuova e Lega, ma i due movimenti politici risulteranno estranei agli attacchi: «I diritti prima agli italiani, altrimenti scoppia un casino». Sulle prime il parroco fa spallucce. Chi è in prima linea tra i poveri di ogni colore, sa che c’è sempre qualcuno a mugugnare. Poi il mittente passa alle vie di fatto. Il 4 settembre scatta il primo raid incendiario a danno della chiesa di San Pietro Martire. A fuoco era andato un paramento appoggiato su un altare secondario. Il 17 ottobre vengono colpite la chiesa del Santissimo Sacramento e quella degli Scalzi. In entrambi i casi il piromane approfitta di un momento di solitudine nei luoghi sacri per incendiare dei tessuti. Ancora una volta, fortunatamente, le fiamme vengono spente in tempo. Il 20 novembre tocca alla chiesa delle Palombare, di nuovo appiccando le fiamme a un drappo sull’altare. Secondo il dirigente della Digos di Ancona l’uomo «si sentiva "tradito" dalle politiche di accoglienza dei migranti e da quella che considerava una sproporzione in favore degli stranieri a danno degli italiani».
«Contenitore di un magma formato da violenza, aggressività, frustrazione, esibizionismo», così ne aveva parlato don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco dopo l’omicidio di Emmanuel Chidi Nmadi, il migrante nigeriano colpito nel luglio 2016 con un pugno dall’ultras di destra Amedeo Mancini e morto in ospedale dopo poco. I segnali d’allarme, insomma, c’erano già. Del resto proprio don Albanesi e altri due parroci del fermano erano finiti nel mirino di ignoti "unabomber".
All’epoca la faccenda venne liquidata come circoscritta a un territorio specifico e senza alcuna attinenza con il clima nazionale, già surriscaldato dalle strumentalizzazioni seguite agli sbarchi di profughi causati dalla crisi siriana. In realtà, come si scoprirà dalle indagini sui due colpevoli che verranno individuati mesi dopo mentre stavano pianificando una fuga all’estero, entrambi pur rifacendosi a spinte vagamente anarcoidi, sui propri profili social chiamavano «fratello, amico mio», l’ultrà che aveva picchiato il nigeriano poi morto, condividevano alcuni video di Matteo Salvini sui migranti e attaccavano proprio don Albanesi, la cui chiesa fu una delle tre danneggiate da un ordigno.
Arresti e condanne non fermano gli attacchi. Nelle ultime settimane minacce sono arrivate a sacerdoti in Liguria, in Toscana e in altre regioni. Sempre accusati di occuparsi degli immigrati, quando dovrebbero limitarsi a dire messa. La solidarietà dei parrocchiani e dei presuli non manca mai. Ma i timori non si possono nascondere. Lo sa bene don Gianfranco Formenton che il 21 febbraio di quest’anno dopo lettere anonime, insulti, attacchi via social, si è ritrovato con la canonica devastata. «In questa chiesa è vietato l’ingresso ai razzisti. Tornate a casa vostra!», aveva scritto già tre anni prima il parroco di Sant’Angelo in Mercole, a Spoleto. Gli autori del raid non hanno rubato nulla, neanche il denaro lasciato in vista, ma hanno devastato arredi sacri e oggetti religiosi. Quegli stessi simboli ostentati dai cattivi maestri del «prima gli italiani».