Attualità

Profughi . Roma, al Pigneto i 37 mila nomi di chi è morto per arrivare in Europa

Luca Liverani martedì 10 dicembre 2019

Sulla strada di una capitale europea tutti i nomi dei 37 mila migranti che hanno perso la vita cercando di raggiungere Fortezza Europa. Affogati nel Mediterraneo, per la gran parte. O soffocati nei container dei Tir. Comunque morti, nel disperato tentativo di fuggire dalla guerra e dalla miseria, anche a rischio della vita. Perché di fatto non esistono efficaci canali di immigrazione regolare o sufficienti corridoi umanitari. I nomi di chi è morto, 36.570 dal 1993 ad aprile 2019 - secondo l'infinita e comunque incompleta lista stilata da United for Intercultural Action, gruppo di 550 organizzazioni - verranno scritti nel tratto pedonale di via del Pigneto, a Roma. Riempiranno la strada in un'area lunga quasi centro metri. Circa 500 metri quadri per un'opera - avviata oggi, 10 dicembre, Giornata mondiale dei diritti umani, per essere completata il 20 giugno, Giornata mondiale del rifugiato - che è stata ideata dall'artista Fabio Saccomani. Si intitola «(S)ink», con un gioco di parole in inglese tra Ink, cioé «inchiostro», e Sink, che vuol dire «affondare»

Particolarità dell'opera è che i nomi dell'ecatombe di migranti vengono scritti con una speciale resina che, una volta asciutta, è invisibile. Finché non vengono bagnati: «Allora emergeranno tutti, improvvisamente - spiega Fabio Saccomani - nel momento in cui piove. Questo palesarsi, veicolato dall’acqua che richiama il mare dove la maggior parte di queste persone è annegata, consente di far parlare i nomi, di inserirli in una dialettica visibile-invisibile che travolge lo spettatore, stravolge il senso del luogo ed il senso di sicurezza che conferisce l’ordinario e il familiare». Nella lista dei morti non sempre è stato possibile dare un nome a tutte le vittime di ogni singolo naufragio. In quel caso la lista riporta «no name» e la nazionalità. (S)ink è un progetto di Fabio Saccomani e della Biennale MArteLive 2019 prodotto da Scuderie MArteLive in collaborazione con "RomaBPA Mamma Roma e i suoi figli migliori".

Come le "Pietre d'inciampo", incastonate sui marciapiedi davanti ai portoni delle case dove vivevano gli ebrei deportati dai nazisti, così i nomi dei migranti affogati ricorderanno a chi li calpesta questa enorme tragedia. «Sì, ma con una grande differenza. Quest'opera - spiega l'autore - non propone la pacificazione prodotta da un monumento funebre, che nella sua stabilità cristallizza quella situazione. Questo è differente, è un monumento che purtroppo continuerà a crescere, non vuole essere conciliante come per un avvenimento concluso nel passato. Perché non è il mare che li ha uccisi, non sono catastrofi e fatalità, ma sono morti per colpa delle attuali scelte politiche dell'Europa e dei singoli stati». Secondo Saccomani «oggi assistiamo a una grande rimozione collettiva di questo dramma, e questa opera vuole denunciarlo. Più che di tragedia, dovremmo parlare di genocidio, morte in massa di poveri e fuggiaschi, accomunati non tanto da una religione o un’appartenenza etnica, ma da una condizione sociale ed economica».

A far scattare l'idea al giovane artista è la foto pubblicata nel 2015 su tutti i giornali del corpicino senza vita su una spiaggia turca di Alan Kurdi, bimbo siriano di 3 anni di etnia curda, affogato durante il tentativo di fuggire dalle violenze del Daesh, il sedicente Califfato islamico. «Era uguale a mio nipote Roberto quando dorme. Quell'immagine mi ha colpito, mi ha fatto male. E quando ho visto sul Manifesto la lista dei migranti morti, ho deciso che questi nomi dovevano essere monumentalizzati. Quando da studente andai ad Auschwitz - spiega - mi chiesi come era stato possibile che la gente avesse tollerato quell'orrore. Sono due tragedie assolutamente diverse, sia chiaro. Ma oggi che le informazioni circolano liberamente, a differenza di allora, come è possibile che sia tollerata questa brutalità? Come è possibile abituarsi ad accettarla?»

Saccomani, 33 anni, livornese, si laurea a Scienze politiche studiando sociologia e specializzandosi in semiotica. Per un anno lavora come consulente di comunicazione scientifica. In viaggio in Costa D'Avorio resta scioccato incontrando un mendicante adolescente, tanto deforme da dover gattonare: sua madre, racconta il ragazzino, in gravidanza raccoglieva rifiuti in una discarica dove arrivavano rifiuti radioattivi dei laboratori radiologici europei. Poi per Saccomani arriva lo choc della morte di Alan Kurdi. Il brillante sociologo si licenza. Ora gira l'Italia portando in giro il suo spettacolo in cui, moderno giullare, stigmatizza ridendo i guasti che il neoliberismo produce sui paesi poveri. Una delle cause che costringono migliaia di migranti a fuggire verso quella Fortezza Europa che lascia sollevati i ponti levatoi sul Mediterraneo.