Il caso. Migranti, Mare Jonio bloccata. Non ha chiamato Tripoli
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Dopo aver sbarcato lunedì sera a Trapani 69 migranti (tra cui un’intera famiglia con tre bambini piccoli) soccorsi nel Mediterraneo centrale, la Mare Jonio è stata sottoposta a un fermo amministrativo di 20 giorni (e una sanzione di 10 mila euro) con una motivazione inedita, che adesso potrebbe trasformarsi in boomerang per il governo Meloni. Per la prima volta non sono state contestate irregolarità a salvagenti o ad altre dotazioni di bordo, né tantomeno per l’aver esercitato un’attività di soccorso non occasionale, ma “soltanto” il non aver contattato il Centro di soccorso libico - come era stato indicato dalla centrale di ricerca e soccorso italiana - perché la guardia costiera di Tripoli «non appare soggetto sicuro e affidabile, rispettoso del diritto internazionale e umanitario e ottemperante gli obblighi previsti dalla Convenzione di Amburgo Sar 1979 e la Convenzione di Ginevra 1951, al quale ci si possa affidare né fornire informazioni, pena la messa a rischio delle vite stesse dei naufraghi».
Una presa di posizione decisa, che è costata lo stop. La nave della ong Mediterranea Saving Humans, attiva dal 2018, è stata fermata sulla base della violazione del decreto Piantedosi del 2 gennaio 2023. Subito dopo lo sbarco comandante e armatore sono stati convocati in Capitaneria di Porto e si sono visti notificare il provvedimento da Guardia di finanza e Questura di Trapani. «Alla Mare Jonio - fanno sapere da Mediterranea - vengono contestati due fatti: innanzitutto di non aver ottemperato alle istruzioni dell’Mrcc di Roma che, dopo la prima segnalazione dell’imbarcazione in pericolo, ci aveva indicato di contattare e metterci agli ordini del cosiddetto “centro di coordinamento del soccorso marittimo libico”; in secondo luogo, di non aver richiesto alle stesse autorità libiche l’assegnazione di un porto di sbarco. In pratica la Mare Jonio viene pesantemente sanzionata per essersi rifiutata di consegnare 69 tra donne, uomini e bambini, appena strappati al rischio della morte per annegamento in mare, a quelle milizie che li avrebbero riportati nei campi di detenzione da cui fuggivano». Il capitano, peraltro, lunedì sera ha subito fatto presente alla Guardia costiera italiana che i dirimpettai libici sono tuttora sotto indagine della Corte penale internazionale, oltre che oggetto di un rapporto Onu dell’aprile 2023, che ne documenta gli abusi. Ma la spiegazione non è servita a scongiurare l’altolà.
«Che cosa avremmo dovuto fare per il Governo italiano che ci colpisce con fermo e multa? - si chiede Sheila Melosu, capomissione a bordo - Forse rimettere queste persone nelle mani dei loro aguzzini e torturatori? Commettere un crimine contro l’umanità in violazione del diritto internazionale? Ricordo che per aver ubbidito all’ordine di riportare in Libia persone soccorse in mare comandanti di navi italiane sono stati condannati dalla giustizia italiana, come nel caso dell’Asso Ventotto davanti al Tribunale di Napoli ». E ancora: «Non saremo mai complici di crimini contro l’umanità. Oggi festeggiamo la vita, il migliore futuro possibile in Europa per le persone che abbiamo soccorso e sbarcato al sicuro, festeggiamo il sorriso di speranza delle bambine e dei bambini a bordo, nel rigoroso rispetto del diritto marittimo e internazionale». Proprio sulla motivazione del fermo si potrebbe ora scatenare una battaglia giuridica che, in caso di accoglimento dello scontato ricorso al Tar, potrebbe creare un precedente importante, mettendo fuori gioco le milizie di Tripoli.