Attualità

Stranieri. Le filippine non sono tutte domestiche e i migranti non sempre clandestini

Elisa Campisi mercoledì 30 ottobre 2024

Le donne filippine rappresentate solo come collaboratrici domestiche, quelle musulmane raccontate invece come sottomesse e i migranti chiamati tutti "clandestini" al di là del loro status giuridico: sono solo alcune delle narrazioni analizzate ieri durante il webinar "Awake - Il potere delle parole oltre gli stereotipi sulla migrazione", evento conclusivo di una campagna di sensibilizzazione contro la disinformazione su questo tema, finanziata da Ecas - European Citizen Action Service e realizzata da Fondazione Ismu. Gli stereotipi sugli stranieri e le fake news polarizzano l’opinione pubblica.

Nel 2024, secondo i dati dell’Eurobarometro, per la popolazione italiana l’immigrazione è uno dei due principali problemi da affrontare. Awake, negli ultimi sei mesi, ha provato a dare invece una conoscenza più accurata della migrazione, rivolgendosi a studenti delle scuole di giornalismo, professionisti dell’informazione, esperti di comunicazione e cittadini. Il punto di partenza non poteva che essere il linguaggio.

Secondo quanto emerge dall’XI Rapporto di Carta di Roma, la narrazione prevalente sui media italiani è stata quella dell’emergenza permanente. "Clandestino", in riferimento al migrante, è comparso nei titoli 68 volte solo nei primi 10 mesi del 2023. Oltretutto, la maggior parte dei titoli in prima pagina sull’immigrazione (il 69%) si è concentrata sui flussi. Un dibattito pubblico, quindi, che non riesce a dare visibilità alle varie comunità presenti in Italia. Alcune di queste, si sono raccontate durante la campagna Awake attraverso contenuti sui social network creati, assieme a Ismu, da Sara Lemlem, videomaker e giornalista, e Sumaya Abdel Qader, sociologa e scrittrice.

«Sono partita dall’idea stereotipata della "mia filippina" che lavora dalla "signora" per analizzare quel rapporto con la "padrona" che in realtà è sempre stato impari. Ho indagato i silenzi lasciati da queste prime generazioni di donne, entrando in rapporto con le "figlie" e il loro punto di vista", spiega Lemlem. Milanese, ma di origini etiopi ed eritree, nei video Lemlem ha fatto sì che questa comunità potesse raccontare storie che vanno oltre la "donna delle pulizie". Un’immagine che, come ha raccontato Germelyn Rose Ignacio, rappresentante della comunità filippina intervenuta al webinar, "può persino portare quasi a vergognarsi di essere filippina per come viene usata. Le nuove generazioni vogliono emergere in tanti ambiti. Bisogna incoraggiarle a non stare nello stereotipo e a perseguire il proprio sogno».

Di seconde, terze e quarte generazioni, nei video social di Awake e non solo, si è occupata pure Abdel Qader, soffermandosi soprattutto sul tema della cittadinanza italiana: «Sembra quasi una concessione, invece non averla finisce per schiacciare quello che i ragazzi vorrebbero dare al Paese». La ricercatrice, nata a Perugia da genitori giordano-palestinesi, partendo dalle proprie esperienze ha spiegato inoltre quanto sia urgente superare gli stereotipi sulla figura della donna musulmana: «Il mondo musulmano è vasto, dai talebani ai progressisti, che però quasi nessuno conosce. Andrebbero raccontate anche le donne che stanno facendo la differenza in diversi settori, dalla scienza alla moda».

Il messaggio finale è il desiderio di andare oltre. «Cominciamo anche a stancarci di dover raccontare sempre da dove veniamo. Siamo arrivati alla quarta generazione. Fino a quando ci conterete? Spero che un giorno potremo vederci semplicemente come nuovi italiani, ma tutti, superando il noi e il voi», conclude Abdel Qader.