Migranti. Caso “Mare Jonio”, l'udienza rinviata al 14 febbraio
Soccorsi in mare
Bisognerà attendere il 14 febbraio per sapere se Luca Casarini, capo missione di Mediterranea, dovrà essere processato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, con l'aggravante di averne tratto profitto. L'udienza preliminare di ieri a Ragusa è stata rinviata di due mesi dal gup Eleonora Schininà perché la difesa ha fatto valere il difetto di notifica nei confronti di due imputati su sei. «Io ci sono – ha attaccato Casarini uscendo da palazzo di giustizia –, il pm titolare invece non ha presenziato». Il riferimento è al sostituto procuratore Santo Fornasier, che ha delegato un collega, come è di prassi in questi casi. Ieri però non si è parlato solo di formalità, ma anche di sostanza. I legali di Casarini, gli avvocati Serena Romano e Fabio Lanfranca, hanno voluto mettere un punto sulla vicenda, precisando che «la Chiesa cattolica non c’entra nulla». La procura di Ragusa accusa infatti Casarini e altre cinque persone di aver sbarcato l’11 settembre 2020 a Pozzallo 27 migranti prelevati con la Mare Jonio dalla petroliera Maersk Etienne, rimasta ferma in rada a Malta 38 giorni per il rifiuto delle autorità della Valletta di ricevere i profughi.
Secondo l’accusa la Idra, società armatrice della Mare Jonio (e braccio operativo-marittimo della ong Mediterranea Saving Humans) avrebbe ricevuto 125mila euro dalla compagnia danese. Per la procura è la prova di un vero e proprio accordo studiato per risolvere un problema alla Maersk, secondo la difesa invece si è trattato di una semplice e trasparente donazione per l’aiuto ricevuto. «In Danimarca ci hanno pure premiato, qui in Italia ci processano» ha sentenziato Casarini. Fin qui la questione giudiziaria. A cui si è però aggiunta una bufera mediatica scatenata dagli articoli di Panorama e La Verità (denunciati per diffamazione da Casarini) che hanno pubblicato conversazioni private di Casarini a proposito di ipotetici finanziamenti da parte dei vescovi delle diocesi italiane a favore di Mediterranea. Tutte frasi intercettate che non sono confluite nel fascicolo processuale, perché ritenute irrilevanti dalla stessa procura ai fini del reato contestato. I dati sono rimasti confinati in quelle che in linguaggio tecnico sono definite “copie forensi”, ma che una “manina” ha fatto filtrare alla stampa.
La nave Mare Jonio della Ong Mediterranea Saving Humans - .
«Il processo nulla ha a che vedere con quanto apparso in questi giorni su alcuni giornali del medesimo gruppo editoriale che stanno pubblicando stralci di atti indebitamente sottratti al fascicolo delle indagini – spiegano gli avvocati di Casarini -. Abbiamo già depositato una denuncia diretta ad accertare le responsabilità penali per quanto si è verificato. Questa mattina (ieri, ndr) abbiamo formalmente rappresentato al giudice la gravità di ciò che sta accadendo e che riteniamo sia un atto ostile nei confronti non solo degli imputati ma anche del tribunale, e chiesto alla procura di accertare quanto accaduto». Il sospetto della difesa è che si voglia trasformare un procedimento penale in una questione politica sul tema della gestione dei salvataggi in mare. «Ma noi vogliamo potere affrontare serenamente questo processo in condizioni di garanzia e di serenità di tutte le parti: del giudice, del pubblico ministero e degli imputati», hanno sottolineato i legali.
Nello specifico, si tratta di capire se il trasbordo dei 27 migranti fu un modo di farli entrare illegalmente in Italia, come sostiene la procura, o se invece si trattò di un’operazione umanitaria, come ribadisce Casarini. Una delle carte dell’accusa è che durante i 38 giorni a bordo della Etienne non furono somministrati particolari medicinali ai naufraghi. Dal giornale di bordo risultano infatti solo sei trattamenti con paracetamolo, antibiotico e soluzione salina. Insomma, non si sarebbe trattato di un’emergenza sanitaria tale da giustificare il trasbordo. Ma i difensori replicano: «A bordo c’erano solo farmaci generici e non c’era un medico. I migranti erano sistemati sul ponte, esposti al caldo di agosto di giorno e al freddo di notte. La situazione era critica soprattutto sotto il profilo psicologico. C’era chi minacciava di suicidarsi, fu ritrovato anche una sorta di manichino impiccato. Non si poteva più andare avanti». Due letture molto diverse dei fatti. Su questo, e non su altro, sarà chiamato a pronunciarsi un giudice. Sempre che il processo si faccia.