C'è chi parte con forti speranze. E c’è chi torna da "sconfitto". Due facce dello stesso Sud. Schiacciato fra l’emergenza cronica che attanaglia il Meridione da tempi ormai immemorabili e la crisi congiunturale che da due anni frena l’economia di tutto il mondo. Così, mentre l’emigrazione giovanile dal Sud continua a ritmi serrati con cifre da «grande fuga» (120mila all’anno), ora si aggiunge una novità: l’immigrazione di ritorno. Perché il lavoro non c’è più neanche lontano da casa e chi si trova in difficoltà fa fatica ad andare avanti. Parliamo soprattutto di giovani (tra i 24 e i 34 anni) e donne con contratti precari che hanno perso il lavoro al Nord, che non riescono a re-inserirsi, non hanno tutele e a cui non rimane altro che tornare ad aggrapparsi all’unico vero ammortizzatore sociale che c’è al Sud: la famiglia. Così in 40mila già lo scorso gennaio, hanno raccolto le loro cose e sono tornati a casa. Un nuovo fenomeno che emerge da uno studio della Svimez (l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno). «Ai rischi per così dire esistenziali di una vita a metà si aggiungono quelli molto più reali dovuti alla precarietà del lavoro e alla maggiore esposizione degli emigranti "precari" (173mila) ai cicli economici», dice il vicedirettore della Svimez, l’economista Luca Bianchi, che insieme a Giuseppe Provenzano, ricercatore al «Sant’Anna» di Pisa, ha scritto su questi temi un libro appena uscito dal titolo «Ma il cielo è sempre più su?» (Castelvecchi Editore). Il flusso migratorio Sud-Nord, che pure è fortemente cresciuto nei primi sei mesi del 2008, con l’aggravarsi del quadro economico, registra insomma un’inversione di tendenza. «Negli ultimi mesi, nelle piazze dei paesi del Mezzogiorno si cominciano a vedere tanti ragazzi seduti davanti ai tavolini dei bar – continua Bianchi –. Sono quelli che avevano un contratto interinale o un contratto a progetto, l’anello più debole del mercato del lavoro, senza tutele e senza sindacati a difenderli». Non è quindi un’inversione di rotta positiva perché il Sud va meglio, ma per le difficoltà di molte aziende del Nord. «Sono come parcheggiati in attesa di ripartire. Di riprendere la valigia».Il Sud imprigionato fra assistenzialismo, clientelismo, sprechi e mancanza di servizi e infrastrutture – continua l’economista – «può trovare una via d’uscita in una rinnovata classe dirigente e soprattutto se saprà investire pienamente nel capitale umano, attraverso la creazione di poli di formazione d’eccellenza e uno stretto legame università-impresa, con progetti di spin off e sostegni alle star up». Il problema è fermare la «fuga». Arginare un fenomeno che sta spopolando interi centri, soprattutto in Calabria e Sicilia. Come a Riesi, in provincia di Caltanissetta, dove in pochi anni si è perso il 9,3% della popolazione. Una decimazione. Destinata a ingigantirsi e che rischia di invecchiare e spopolare il Sud. La Svimez calcola che fra il 2008 e il 2030 la popolazione in età da lavoro diminuirà di oltre duemilioni di persone. Mix fatale di emigrazione, bassa natalità e un flusso di lavoratori immigrati insufficiente a colmare le «perdite». Per questo è sul capitale umano e le nuove generazioni che si gioca il futuro del Sud. «Oggi c’è una forma di eroismo in chi rimane, scambiato spesso per inedia e accomodamento da chi fugge. Come c’è sempre una forma di eroismo nella fuga, scambiato per vigliaccheria ed egoismo da chi resta. Come se i "partiti" e i "rimasti" non fossero le due facce di un Sud ostile ai suoi figli, l’identica medaglia. C’è bisogno – è il pungolo che danno Bianchi e Provenzano – di un racconto che metta insieme gli uni e gli altri e faccia maturare la consapevolezza che è necessario ripartire dagli uni e dagli altri per riprendersi quella parte di futuro che gli è stato negato. Solo così il futuro può essere sempre più a Sud».