Benvenuti nuovi italiani, «freschezza e forza» della nostra Repubblica. Non potevano forse immaginare un'accoglienza migliore, i 39mila uomini e donne di origine straniera che hanno ottenuto la cittadinanza italiana nel 2007: una loro delegazione è stata ricevuta ieri al Quirinale, per un simbolico «abbraccio festoso delle istituzioni» nell'anno del sessantesimo anniversario della Costituzione, dal capo dello Stato Giorgio Napolitano. «Debbono cadere vecchi pregiudizi, occorre un clima di apertura e apprezzamento verso gli stranieri che si fanno italiani " ha detto il presidente ". In un clima siffatto possono avere successo le politiche volte a stabilire regole e a rendere possibile non solo la più feconda e pacifica convivenza con gli stranieri, ma anche l'accoglimento di un numero crescente di nuovi cittadini». Alla presenza del presidente della Camera Gianfranco Fini e del ministro dell'Interno Roberto Maroni, Napolitano ha sottolineato l'importanza di questi arrivi, che offrono al Paese l'opportunità di crescere traendo «nuova linfa» dalle diverse competenze, intelligenze ed energie. Secondo il Quirinale, si dovrebbe pensare a nuove normative in materia «con serietà, evitando innesti frettolosi che si rivelerebbero artificiali e fragili». Resta l'esigenza di «una netta distinzione fra immigrazione legale e immigrazione illegale» e del contrasto di quest'ultimo fenomeno «in nome della legge e della sicurezza, pur nel rispetto di elementari diritti umani che non possono conoscere barriere». Parole inequivocabili, quelle del presidente della Repubblica, in una fase in cui il Senato si appresta a discutere gli emendamenti leghisti al ddl sulla sicurezza, che propongono, tra l'altro, di negare l'assistenza sanitaria gratuita agli extracomunitari irregolari, con obbligo di segnalazione alla polizia da parte dei medici. Serve dunque il riconoscimento contestuale di «diritti e doveri», ma «non c'è dubbio " ha osservato Napolitano " che per diventare italiani sia necessaria una piena identificazione con i valori di storia e di lingua e con i principi giuridici e costituzionali propri della nostra nazione e del nostro Stato democratico». Quanto agli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere l'obiettivo, ha aggiunto, «la discussione è aperta», ma più si punta a questa «piena adesione» valoriale, «meno si può irrigidire il criterio del tempo di residenza trascorso in Italia». Le parole del capo dello Stato sono state apprezzate dal cardinale Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti: «Gli immigrati non sono un peso per l'Italia " ha affermato il porporato ". Vengono sicuramente per la loro necessità, ma offrono il loro lavoro e la loro azione». Beni preziosi, ha rilevato, soprattutto per un Paese come in cui «il tasso di natalità è di 1,2 bambini per coppia». Pienamente d'accordo con Napolitano anche il presidente della Camera Gianfranco Fini, perché " ha dichiarato al termine dell'incontro di ieri " «se si mette l'accento sulla necessità di riconoscersi pienamente nei valori della nostra Costituzione e della nostra cultura, non è poi così importante stabilire quanti anni bisogna trascorrere ininterrottamente sul suolo nazionale per diventare cittadini italiani». Insomma, ha concluso Fini, «è cambiata la realtà sociologica del Paese e sono maturi i tempi per discutere di una nuova legge», per capirlo «basta pensare ai bambini figli di immigrati e nati in Italia, che sono già di fatto pienamente italiani ma lo diventeranno di diritto soltanto quando compiranno i 18 anni». Sull'esigenza di adeguare gli strumenti normativi ha convenuto il ministro Maroni, ma per evitare «valutazioni superficiali» " ha fatto notare " occorre sempre «accertare con serenità ed equilibrio» che lo straniero rispetti e conosca valori fondanti, lingua e storia dell'Italia.