Attualità

Verso il nuovo governo. Meloni va dritta: non sono ricattabile

Marco Iasevoli sabato 15 ottobre 2022

Nell'Aula della Camera Giorgia Meloni scherza con Luigi Marattin, deputato del Terzo Polo

Alle “colombe” del suo partito, che durante la giornata sono entrate quasi in corteo nel suo ufficio a Montecitorio per chiedere di «andarci piano» con Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni ha mostrato una sorta di «contro promemoria» simmetrico a quello che i fotografi hanno immortalato al Senato sul banco dell’ex premier. È un foglietto in cui la leader Fdi ha appuntato alla buona le richieste del Cav. che a suo parere sono irricevibili. Un appunto semplice, che però lascia silenti gli interlocutori. «Capite, vero, che non possiamo accettare?», stronca la discussione l’aspirante premier. Che prosegue dunque dritta sulla sua strada: individuare, «se e quando riceverò l’incarico dal presidente della Repubblica », ministri a suo dire autorevoli e inattaccabili. Se i messaggi privati sinora non hanno funzionato per far intendere la «nuova musica» a Berlusconi, allora, è il ragionamento che fa a sera Meloni, è arrivato il momento di lanciarne uno pubblico, netto.

E alle ore 19.50 ecco le poche parole che spaccano in due la partita del futuro governo: «Mi pare che tra quegli appunti - dice Meloni in riferimento al foglietto scritto a mano contro di lei da Berlusconi - mancasse un punto e cioè “non ricattabile”». Parole intercettate da La7 mentre la leader di Fdi lasciava Montecitorio in macchina, con a fianco la figlia Ginevra.

Apriti cielo. L’evocazione dei ricatti apre ogni tipo di scenario, nella maggioranza e nell’opposizione. Si sa delle richieste di Berlusconi su Giustizia e Sviluppo economico, del pressing del capo di Fi per introdurre Licia Ronzulli nella squadra dei ministri. Ma attribuendosi la virtù della non ricattabilità, Meloni evidenzia richieste che andrebbero oltre la fisiologica trattativa tra alleati. E le opposizioni, infatti, annusano il bersaglio grosso: «A quali ricatti si riferisce? Lo dica, è interesse nazionale», dicono uno dopo l’altro esponenti del Pd e del Terzo polo, ma con Carlo Calenda che si distingue e manda a Meloni un «brava» via social, quasi ad incoraggiarla sulla strada intrapresa. «La protervia di Berlusconi meritava una risposta, ma così non durate sei mesi», dice il capo di Azione. «Il centrodestra è già in frantumi», commenta il presidente del M5s Giuseppe Conte.

La dichiarazione pubblica è il punto di caduta di una giornata ad altissima tensione. Nella mattinata positiva di Montecitorio, in cui l’asse con Salvini ha portato alla nomina di Fontana al vertice della Camera senza le fibrillazioni del giorno prima al Senato, Giorgia Meloni aveva già avuto modo di recapitare al Cav. un messaggio: lo schema del governo Berlusconi del 2008, con i ministri ex An nelle retrovie(lei stessa ebbe il dicastero senza portafoglio della Gioventù) nonostante il partito valesse, prima della fusione nel Pdl, il 12%, 4 punti e milioni di voti in più rispetto al risultato di Fi il 25 settembre. Insomma, le richieste vanno ridimensionate. Se si tratta di una tattica negoziale, è tra le più dure. Si arriva all’estremo, nei ragionamenti: ovvero allo scenario in cui Meloni affronterebbe la sfida della fiducia in aula anche senza l’appoggio di Berlusconi. Parole che circolano al fine di mettere alle strette Forza Italia, vista l’evidente divergenza di linea tra il coordinatore Antonio Tajani e l’attuale cerchio ristretto di Berlusconi, capeggiato da Licia Ronzulli. Insomma: stressare al massimo la dialettica per costringere Fi, e lo stesso Berlusconi, a più miti consigli. Da questo punto di vista, il soccorso misterioso giunto al Senato su La Russa aiuta a immaginare i più fantasiosi scenari alternativi. Ma certo non sfugge a Meloni che presentarsi divisi al Colle non giova al suo sogno di varcare Palazzo Chigi da premier. Né le sfuggono i rischi di raccattare “volenterosi” o di stipulare nuove alleanze fuori dal centrodestra. O, addirittura, di precipitare di nuovo verso le urne. Così come non sfuggiva ieri, a Giorgetti, il rischio di guidare il Mef in questa fase: «Se mi brucio, mi brucio, pazienza...», diceva accettando il peso e allargando le braccia. Poco prima, in Transatlantico, l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti lo incoraggiava e avvisava allo stesso tempo: «Il 2023 sarà peggio del 2008, e ho detto tutto...».