I nodi. Meloni-Tajani-Salvini, vertice a Bruxelles per "riaprire" la manovra
Meloni, Tajani e Salvini a Bruxelles
Davanti ai microfoni e alle telecamere va tutto benissimo, il governo funziona come un orologio svizzero e la manovra è la migliore possibile dati i tempi. Spente le luci, serpeggia il malumore per una legge di bilancio che Forza Italia e Lega considerano molto, troppo "meloniana", calata sulle esigenze politiche di FdI, poco attenta alle loro sensibilità (quelle storiche e quelle recenti).
Il problema c'è, esiste. Ed è emerso, al netto dei sorrisi, nel vertice notturno a tre, Meloni-Tajani-Salvini, svoltosi a Bruxelles nella notte tra mercoledì e giovedì. In una sala dell'hotel Amigo, dimora fissa della premier durante i vertici europei, la premier e i due vice si sono intrattenuti più di un'ora. Non c'è solo la questione scottante della Sanità, su cui le opposizioni hanno ingaggiato una battaglia a viso aperto che mette in imbarazzo anche il ministro Orazio Schillaci, tra l'altro nel mirino dei colleghi medici. Ci sono i cavalli di battaglia dei junior partner della coalizione, effettivamente spariti dai radar. La flat tax salviniana, ad esempio. E anche Tajani, che ha dovuto accettare l'intervento sulle banche (accolto senza scossoni dai mercati, dunque destinato a resistere anche al vaglio parlamentare), spera e dice che durante l'iter alle Camere si potranno "aggiungere altri interventi".
Ma prima che correzioni e integrazioni vedano la luce in Parlamento, i due vicepremier chiedono segnali politici, ovvero che alcune loro istanze-chiave vengano già recepite nel dibattito interno, accolte dal Tesoro di Giancarlo Giorgetti (leghista sì, ma assolutamente "meloniano" nella stesura della legge di bilancio varata martedì in Consiglio dei ministri) e quindi in qualche modo preannunciate. Il senso è: le elezioni - Liguria, Emilia Romagna e Umbria - ci sono per tutti, non solo per Fratelli d'Italia. Anche la questione dei tagli ai ministeri va rivista: ad esempio, i ministri di Lega e FI non sono rimasti entusiasti del fatto che il titolare della Difesa, Guido Crosetto, cofondatore di FdI, abbia rivendicato di non aver ricevuto alcuna sforbiciata. Mentre anche i dicasteri di Tajani e Salvini devono partecipare ai "sacrifici".
Durante il vertice dell'Amigo Giorgia Meloni non è stata per nulla chiusa o sorda di fronte al pressing degli alleati. Ma ha fissato un paletto: attendere i risultati definitivi del concordato preventivo in termini di entrate fresche, buone per il lavoro parlamentare ma anche per il tradizionale "superemendamento" del governo, che varrà come un'altra mini-manovra.
Al vertice dell'Amigo si è aggiunto poi in un secondo momento anche Raffaele Fitto, ministro in carica per il Pnrr e prossimo a ricevere, il 12 novembre, l'atteso "esame" delle commissioni dell'Europarlamento necessario per diventare ufficialmente vicepresidente esecutivo della Commissione Ue. Per arrivare ai due terzi di "placet", potrebbe essere molto utile anche il lavoro di Salvini su alcune delegazioni nazionali del suo eurogruppo, i "patrioti". Un motivo in più per ascoltare e registrare le richieste della Lega su una manovra chiusa in tempi rapidissimi martedì in Cdm, ma già politicamente da riaprire.