La premier. Meloni: «Dalle privatizzazioni 20 miliardi». E attacca gli Agnelli
Giorgia Meloni durante l'intervista alla trasmissione "Prima Repubblica"
La premier ammette l’asse poco efficace con la Francia sulle nuove regole Ue: una mossa per riaprire il dialogo con Le Pen Confermati gli obiettivi sulle privatizzazioni: 20 miliardi in 3 anni Partecipate, «è finito l’amichettismo» Per i suoi gusti e per la sua storia Giorgia Meloni è stata sin troppo tempo sulla difensiva. È tempo di contrattaccare, dunque, e di indicare tutti o quasi i “nemici” della campagna elettorale per l’Europa, le Regioni e i Comuni. L’occasione è un’intervista alla trasmissione Mediaset Quarta Repubblica.
Ma l’affondo parte da lontano, e da una crescente pressione del suo partito, Fdi, per uscire dall’angolo. E tuttavia, il punto più “nuovo” delle sue esternazioni somiglia a un boomerang, e non a caso le opposizioni ci si avventano sopra in tempo reale. «Il Patto di stabilità dice la premier - non è il mio ideale ma il miglior compromesso possibile. L'alternativa era tornare ai vecchi parametri, decisamente peggiori». Sin qui quanto già noto. Poi la “confessione” a sorpresa: con Macron «penso che si potesse fare un po' di più insieme».
Per le minoranza è un modo implicito per ammettere il «fallimento» del negoziato sul nuovo Patto di stabilità. Ma non è da sottovalutare l’ipotesi che Meloni abbia voluto tornare sul dossier europeo più deludente per dare un timbro alla campagna elettorale. Accusando Macron, indirettamente, di eccessiva “morbidezza” verso la Germania. E giocando così di sponda con Marine Le Pen, con la quale è in corso un riavvicinamento. È evidente che la partita europea rappresenta un possibile spartiacque, per Giorgia Meloni. E infatti i discorsi finiscono sempre lì.
Alla sua eventuale candidatura: «C’è il 50% di possibilità, decideremo alla fine, vediamo, voglio creare un po’ di suspence... », dice Meloni avendo ormai verificato quanto il tema della controcandidatura di Elly Schlein stia spaccando il Pd. Lei può permettersi di scegliere l’ultimo giorno, tra i dem ogni ora di dubbio alimenta tensioni. Un vantaggio, le hanno suggerito sondaggisti e staff, da sfruttare fino in fondo. Allo stesso tempo, però, è impossibile non registrare il progressivo abbassamento degli obiettivi per le Europee.
Se in principio si parlava di una nuova maggioranza Ppe-Conservatori, ora Meloni deve rispondere di eventuali alleanze con il Pse. E la risposta è articolata, in politichese: «Quando noi parliamo di maggioranza, parliamo del Parlamento Europeo, perché la Commissione è dei governi e ogni governo ha il suo colore. Quando fu formata la Commissione guidata da Ursula von der Leyen, votarono per quella commissione anche partiti di governo che non hanno mai fatto parte della maggioranza della Von der Leyen. Quindi la sfida è costruire una maggioranza diversa nel Parlamento, e questo io oggi lo vedo su alcuni dossier». Insomma, nella migliore delle ipotesi si paleserà una maggioranza di destra su specifici temi che vedono popolari e socialisti non convergere.
L’altra grossa novità della sua intervista è l’attacco frontale agli Agnelli. Anche qui c’è un precedente. Poche settimane fa, annunciando i nuovi incentivi auto, il ministro Urso aveva annunciato un binario privilegiato per la produzione che avviene in Italia. «Ho letto una prima pagina di Repubblica che diceva: “L’Italia è in vendita”. Ora, francamente, che quest’accusa mi arrivi dal giornale di proprietà di quelli che hanno preso la Fiat e ceduto ai francesi, hanno trasferito all’estero sede legale e sede fiscale... non so se il titolo fosse un’autobiografia. Però le lezioni di tutela dell’italianità da questi pulpiti anche no». Non sono parole che resteranno senza conseguenze.
Nel merito, invece, confermato l’obiettivo di privatizzazioni per 20 miliardi in 3 anni. Poi tra una smentita dei cattivi rapporti con Salvini e un affondo contro Pd-M5s, Meloni prova a ridimensionare lo scontro con Chiara Ferragni ma annuncia l’approdo in Cdm per “regolamentare” la beneficenza. Infine una conferma, inerente le imminenti nomine nelle grandi partecipate: «L’amichettismo è finito, le carte le dò io». Un avviso anche agli alleati.