Missione a Beirut. Meloni: «In prima linea contro l'escalation». Più militari in Libano
Gli occhi quasi lucidi. Fissi sui nostri militari. «...Rinunciate a tutto per garantire quella pace di cui tanti, soprattutto in questo momento, si riempiono la bocca seduti comodamente dal divano di casa loro. Perché la pace non si costruisce con i sentimenti e le buone parole, la pace è soprattutto deterrenza e impegno, sacrificio». Giorgia Meloni parla al contingente italiano alla base Millevoi di Shama in Libano. «L'Italia vi è grata», ripete la premier. L'emozione si lega e si accavalla alla strategia. Nelle telefonate più riservate Giorgia Meloni spiega i perchè della sua prima missione in Libano. Parla delle incognite legate alla crisi mediorientale. Si sofferma sui rischi di un allargamento del conflitto. Ragiona sulle possibili e drammatiche conseguenza sull'intera area. E ripete parole nette: «Bisogna fare ogni sforzo per evitare che la situazione lungo il confine con Israele peggiori». Non sono solo parole. Meloni negli ultimi giorni si è confrontata più volte con il ministro della Difesa Guido Crosetto per valutare l'ipotesi di un aumento del contingente italiano impegnato nella missione bilaterale in Libano che oggi conta un centinaio di militari. Nulla è deciso ma Meloni ha già ragionato su questa possibilità nei colloqui avuti a Roma il primo marzo con il comandante delle Forze armate libanesi, il generale Joseph Aoun. La strategia è chiara: sostenere l'esercito di Beirut per evitare una escalation al confine Sud fra i gruppi di Hezbollah e Israele. Ecco la sfida: evitare una escalation. Meloni ne ha parlato nell'incontro con il premier libanese uscente Najib Miqati a Beirut. E anche davanti ai nostri militari rilancia la sfida: «Sono giorni difficili in Medio Oriente, in Europa, nel mondo. Quando c'é un incendio il rischio è sempre lo stesso, che le fiamme volino velocemente da un albero all'altro e non si riescano a domare. Noi dobbiamo fare tutto il possibile per evitare il rischio e voi siete il fossato, la barriera di sabbia che aiuta a non far progredire l'incendio». Il governo è compatto. E pronto a sostenere ancora di più il Libano. L'idea è partire dalla missione bilaterale Mibil dove i militari italiani addestrano le forze libanesi. Il ministro degli Esteri Tajani è stato chiaro: «I nostri militari non sono lì solo per fare la guardia alla bandiera; sono un braccio operativo della politica internazionale». Ora c'è anche Meloni. Il Libano «è una nazione a cui l'Italia è legata da una lunga storia di amicizia, che riveste un ruolo fondamentale nel mantenimento degli equilibri nel Medio Oriente. Qui oltre al lavoro che portiamo avanti nell'ambito delle Nazioni Unite l'Italia declina il suo impegno anche a livello bilaterale con la missione Mibil, che forma e sostiene le forze di sicurezza libanesi che sono a loro volta essenziali per salvaguardare il quadro istituzionale di questa nazione. Era un lavoro importante ieri e diventa fondamentale oggi». Quella parola, fondamentale, non è scelta a caso. Politica internazionale vuol dire ogni sforzo per un rapido e faticoso cessate il fuoco a Gaza. Per evitare conseguenze su più larga scala. Per scongiurare una esclation in un momento complicatissimo. È notizia delle ultime ore le sedici vittime nel raid israeliano nel sud del Libano, non lontano dalla base militare di Naqura, sede del quartiere generale di Unifil, la missione Onu di cui fa parte anche il contingente italiano con oltre un migliaio di soldati. A essere colpito è stato un caffè nella cittadina di Naqura, sulla costa mediterranea, proprio a ridosso della linea del fronte tra Hezbollah e Israele. Presto la premier sarà tra i militari italiani. Perchè l'Italia «è e sarà in prima linea per il sostegno alla sicurezza»