Lo scontro. Meloni: premierato per la stabilità. Schlein fa muro: in piazza il 2 giugno
La riforma costituzionale irrompe nella campagna elettorale europea, monopolizza il dibattito e polarizza lo scontro fra le leader dei due principali partiti. Elly Schlein annuncia per il 2 giugno, Festa della Repubblica, una «grande manifestazione a difesa dell'Italia e dell'Europa, contro il premierato e l'autonomia». La segretaria parla all'assemblea dei senatori del Pd nel giorno dell’approdo in aula del testo: «Metterete la vostra voce e i vostri corpi per fermare questo scempio», carica i suoi. La presidente del Consiglio replica invece a un incontro sul premierato promosso alla Camera dalla Fondazione De Gasperi in collaborazione con la Fondazione Craxi: «Questa non è una riforma né di destra e né di sinistra, e non è nemmeno la mia che come è noto avevo proposto il sempresidenzialismo alla francese». La presidente del Consiglio assicura che farà di tutto perché in Parlamento si creino le opportunità per accrescere il consenso: «Certo, la Costituzione prevede che occorrano i due terzi del Parlamento, ma prende anche in considerazione il rischio della paralisi, ed è per evitare questo che si prevede il referendum». Ricorda che «anche la Repubblica è nata da un referendum, e poi ci è andata bene. Cercheremo di evitarlo, discutendo nel merito. Ma quando la risposta è “la fermeremo coi nostri corpi”, non so se leggerla come una minaccia o come una mancanza di argomentazioni». E in ogni caso «l’ultima parola l’avranno gli italiani. Perché la Costituzione non è mia né di Mattarella ma del popolo».
Il testo, nelle stesse ore, arriva intanto in aula al Senato in un clima di totale incomunicabilità. Quasi 3mila gli emendamenti presentati dalle opposizioni, c’è anche quello del governo, che in realtà è solo un drafting per rendere più chiaro l'articolo 7 del ddl, riprendendo i suggerimenti in commissione di Marcello Pera: in caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata, il Presidente del Consiglio eletto «rassegna le dimissioni e il Presidente della Repubblica scioglie le Camere». Negli altri casi di dimissioni, recita il nuovo testo, «entro sette giorni e previa informativa parlamentare, ha facoltà di chiedere lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, che lo dispone».
La segretaria del Pd con i suoi senatori aveva parlato di «accelerazione dettata da ragioni elettoralistiche. Cercano di avanzare su premierato e autonomia differenziata per avere qualcosa da sbandierare in campagna elettorale», e si era scagliata contro «il cinico baratto della maggioranza» che ridurrà il Quirinale a un semplice «notaio» grazie a un argomento «facile e furbo»: un «decidete voi» dietro cui si cela un «decido io per tutti e per cinque anni». Ancor più preoccupato si era detto il capogruppo dem Francesco Boccia, che aveva replicato duramente al collega di Forza Italia Maurizio Gasparri, (secondo il quale manifestare il 2 giugno è «teppismo istituzionale») ribaltando l’accusa: «Teppisti istituzionali sono coloro che non avendo scritto la nostra Costituzione pensano oggi di stravolgerla». Per Ilaria Cucchi di Avs, si tratta di di un testo «pessimo e ambiguo», mentre per Alessandra Maiorino del M5s c’è la volontà di «istituzionalizzare l’umiliazione del Parlamento». E in serata interviene di nuovo Schlein per contro-replicare alla premier: «Le sue penose e costanti mistificazioni non ci spaventano».
Mentre al Senato va in onda lo scontro Meloni cerca di non farsene contagiare e difende il suo progetto e rispondendo a Luciano Violante che prima di lei aveva spiegato le sue perplessità invitandola a immaginarne gli effetti applicati a vantaggio dell’attuale opposizione in uno scenario che nel tempo potrebbe cambiare. «Non lo temo, sono stata tanto tempo all’opposizione... Questa riforma non serve al mio governo, che godendo di una maggioranza solida non ne trae alcun vantaggio. È un rischio per me fare questa riforma, ma se non cogliessi questa occasione, non sarei in pace con la mia coscienza. La legislatura precedente, che ha avuto tre governi, due presidenti del Consiglio che non erano neanche parlamentari, e forze politiche elette in contrapposizione che si sono messe insieme, su programmi che nessun elettore ha mai potuto giudicare».
Una parola su tutte inserisce, Meloni: «Stabilità», soprattutto sul piano internazionale. I buoni dati economici li ricollega proprio a questa percezione di una maggioranza solida. «I governi precari creano debito pubblico, perché essendo troppo preoccupati di se stessi non si occupano del futuro dell’Italia». E cita il dato dei 68 governi e 31 presidenti del Consiglio in 75 anni. «Basta quindi governi tecnici, ribaltoni, maggioranze arcobaleno» e «supplenza del capo dello Stato».
Il presidente della Fondazione De Gasperi Angelino Alfano aveva definito un «tema irriunciabile» la sovranità che appartiene al popolo in base all’articolo 1 «e ad esso deve essere restituito lo scettro». «Nessun potere deve essere assoluto - conviene Meloni -, ma se uno dev’essere preminente questo è la sovranità popolare, e così non è stato». Ribadisce che restano «inalterati» i poteri di «arbitro» del capo dello Stato. Cessa solo, spiega, il rischio che debba snaturarsi per supplire alla debolezza della politica. Il presidente della Camera Lorenzo Fontana, da padrone di casa, auspica «il più ampio consenso» ma avverte che il dibattito «non deve paralizzare» il Parlamento.
Meloni esclude che ci sia il disegno di marginalizzarlo. «Semmai, e lo dico essendo stata all’opposizione per tanto tempo, il Parlamento marginalizzato lo è ora. E io sono stata l’unica - rivendica - ad aver chiesto il ritorno a una legge elettorale con le preferenze». Servirà ora una norma «per ricostruire il rapporto eletto-elettore». Stesso discorso per limitare la decretazione d’urgenza: «Sarebbe molto interessante se i partiti volessero porre il problema di come rafforzare l'iniziativa legislativa. Questo è un tema che mi interessa molto, parliamone...».